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Patrizio Di Massimo: a Jesi la sua Antologia (2013-2023)
Mostre
«Uomo della folla», recuperando la traccia baudleriana suggerita dal Sindaco di Jesi Lorenzo Fiordelmondo, Patrizio Di Massimo – la cui biografia è legata a Jesi – fa ritorno nella sua città assumendone il patrimonio come fertile materiale creativo.
Il prestito baudleriano secondo cui quello che Patrizio di Massimo riesce a fare è «distillare dalla moda ciò che essa può contenere di poetico nella trama del quotidiano, di estrarre l’eterno dall’effimero» è trasposto visivamente, in termini pittorici, attraverso i suoi autoritratti.
Barbara Casavecchia, in esordio del testo che accompagna la mostra Antologia (2013-2023) e il catalogo edito da Quodlibet, sottolinea come, proprio gli autoritratti, regalino «il piacere di vedere l’artista calarsi in panni ogni volta diversi, rendendosi ogni volta più conoscibile». E prosegue spiegando che «gli servono a sviluppare una messa a fuoco progressiva della propria immagine, mentre si spoglia e si riveste delle molte convenzioni che regolano la vita di un corpo maschile all’interno della cornice predefinita di un quadro».
Antologia (2013-2023), curata da Ludovico Pratesi e Massimo Vitangeli e visitabile fino al 3 settembre, inizia con gli autoritratti esposti nella sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, per poi articolarsi nelle tematiche della genitorialità, della vita domestica e del sonno e affrontare le dimensioni del litigio, dell’erotico, dell’umano e dell’esoterico al piano terra dei Musei Civivi di Palazzo Pianetti.
Autoritratto con Philip Guston (2022) è stata realizzata in occasione della mostra jesina. Centrale nella sezione rinominata Dei sé poliautentici (FCRJ) l’opera è «un testamento di solitudine che ci accompagna nei momenti più intimi per tutta la vita. Allo stesso tempo rappresenta la voglia di accompagnarmi ad un personaggio elettivo, che ho scelto per la sua libertà e il suo carisma», ha spiegato Patrizio Di Massimo. Dipinti o a disegno – pratica che appartiene all’ambito privato dell’artista e che è andata intensificandosi nel corso della pandemia come strumento di analisi delle incertezze quotidiane e personali – con gli autoritratti Patrizio Di Massimo si rivela un interprete.
In The Milliner (2015) si ritrae nelle vesti di un cappellaio, seminudo su sfondo nero, di fronte a una canna di bambù che regge cappelli. L’espressione inglese wearing many hats (letteralmente indossare molti cappelli), viene usata semanticamente per indicare l’interpretazione di diversi ruoli, cosa che Di Massimo fa, talvolta sovvertendoli in nome di una profonda conoscenza della storia e della tradizione, come nel caso di Self-Portait as Model, in cui ribalta lo scenario classico dell’artista al cavalletto di fronte a una modella desnuda ritraendo la moglie Nicoletta mentre maneggia tavolozza e pennello e se stesso in languida posa.
L’interpretazione è dunque la chiave con cui Patrizio Di Massimo, ironico, grottesco, fantastico e sublime, dà vita a una nuova figurazione che appartiene, indistintamente, a tutti. A Palazzo Pianetti si avventura nel terreno della domesticità e della genitorialità, ritraendosi – in No more nappies (2020), per esempio – con la moglie Nicoletta e la figlia Diana in un momento di eterea, confortante e contemplativa ordinarietà domestica, fatta di complicità, sicurezze e amore. Sempre insieme, Di Massimo, la moglie e la figlia sono ritratti in On the Rocks mentre vagano, a cavallo di un grigio asteroide, in un terreno che ricorda le montagne dipinte di Giotto, in un’atmosfera notturna che lascia che letti e coperte assumano il primo piano visivo. Sonno, e sogno, culminano nel sentimento di Diana & Nicoletta, in cui madre e figlia, che stringe un orsacchiotto di peluches, sono avvolte da una luce surreale e magica che muove i loro capelli e ammorbidisce i loro incarnati.
Proseguendo per baruffe, conflitti di interesse ed ego vulcanici Patrizio Di Massimo si mantiene sul campo degli affetti, delle conoscenze e degli amici, come Nicoletta Fiorucci, Runa Islam, Osman Yousefzada e Marina La Verghetta in How Many Times Do I Have to Tell You This, Ah??? ambientata immaginando Stromboli e realizzata nel 2018, quando partecipava a Vulcano Extravaganza. «Coordino i miei amici, organizzo degli shooting, li faccio sudare, anche se in realtà ho già in mente l’immagine che voglio, e di solito la prima è quella buona. Poi lavoro molto con photoshop, modificando la posizione di braccia, gambe, teste, mescolando magari 4 o 5 foto insieme e lavoro anche sulle proporzioni, spesso le facce sono il 20 per cento più grandi del corpo, escamotage che veniva usato nella ritrattistica anche nell’antichità», spiega l’artista.
Arguzia, eleganza, finzione, modernità e rigore cromatico connotano la stanza al centro della quale è esposta l’installazione di 14 ceramiche dipinte a mano e decorate con foglia d’oro, riempite d’acqua e organizzate su tre livelli ascendenti, Nipson anomemata me monan opsin (Wash the Sins Not Only the Face), raffigurante eroticamente il mito creazionista di Adamo ed Eva.
L’opera ci traghetta verso la natura ossimorica dell’eros, in bilico tra sacro e profano, narcisismo e perversione, con cui Patrizio Di Massimo esplora inedite ed estreme emozioni. È il caso di Entangled, in cui due figure femminili vengono trasformate in un’icona di bonding, innato e istintivo, al quale non ci si può sottrarre.
Il celebre chiasmo «Le donne, i cavalier, l’arme e l’amor» risuona in opere come Epico Cavalleresco, ispirato a Ruggiero che salva Angelica (J.P. Blanc, 1876), in cui Di Massimo sceglie di trasformare – invertendo i ruoli di genere dei personaggi – se stesso e sua moglie in eroe ed eroina di racconti per immagini, liberando i propri sentimenti e filtrandoli attraverso il furore, la tenerezza e il grottesco.
Chiude la mostra il grande trittico Alla Rosa Bianca e al Pettirosso, realizzato per la mostra di Jesi e nutrito dalla Deposizione nel sepolcro di Lorenzo Lotto, conservato al piano nobile della Pinacoteca. Al centro del trittico il Cristo deposto è trasformato in un giovane soldato, il milite ignoto, circondato da Maria (la madre di Di Massimo), la Pia Donna (sua suocera), Maria di Cleofe (suo padre), Giuseppe d’Arimatea (suo suocero), Nicodemo (sé stesso) e Gesù di Nazareth (sua moglie). Ai lati invece sono ritratti una bambina ucraina che imbraccia un fucile e un ragazzo russo condannato all’ergastolo per crimini di guerra: immagini diventate virali negli ultimi sedici mesi che irrompono nell’opera come l’attualità nella nostra storia di mondi senza pace. La rosa e il pettirosso dipinti conducono, allegoricamente e rispettivamente, all’Amor Sacro e alla morte in croce – ma Pettirosso era anche il soprannome del fratello del bisnonno, morto durante la Prima Guerra Mondiale.
Profondo conoscitore dell’eredità dei grandi maestri, tra cui Otto Dix e Christian Schad, Patrizio Di Massimo sa fondere, in maniera del tutto straordinaria, l’iconografia classica e la cultura visuale contemporanea. Antologia (2013-2023) non è solo né soltanto una ricognizione della creazione più recente: agendo da interprete Patrizio Di Massimo rivista il passato e irrompe nel presente rivisitandoli con la sua anima e mettendo in gioco il suo sistema affettivo. Offrendoci, vale a dire, la sua vita, mediata e raffigurata tramite la sua essenza visionaria.