-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Perché, quindi, non mettere in movimento le forme plastiche? Calder, a Lugano
Mostre
Trasformativo, il suo impatto, rivoluzionario, lui, Alexander Calder: «Così come si possono comporre i colori o le forme, allo stesso modo si possono comporre i movimenti», affermò nel 1933, introducendo il movimento nella scultura – che è forma d’arte statica – ed estendendo, di fatto, il medium oltre il visivo, nella dimensione temporale. Non si tratta di un semplice moto traslatore o rotatorio, Calder si riferiva a movimenti natura, velocità ed estensione diverse combinati in modo da ottenere «un insieme conseguente».
Di questa innovazione, senza precedenti, e del linguaggio formale e scultoreo che ha caratterizzato, si va a delinearne lo sviluppo con Calder. Sculpting Time: la più completa mostra monografica a lui dedicata da un’istituzione pubblica svizzera negli ultimi cinquant’anni, resa possibile dalla collaborazione con collezioni pubbliche e private internazionali, tra cui la Calder Foundation di New York, realizzata grazie a Fondazione Favorita e curata da Carmen Giménez e Ana Mingot Comenge. «L’eredità di Calder – affermano le curatrici – perdura non solo nella presenza fisica delle sue opere, ma anche nel profondo impatto del suo lavoro, che ha cambiato il modo in cui percepiamo e interagiamo con la scultura. Il suo contributo alla storia dell’arte si estende ben oltre l’uso innovativo di materiali e l’impiego di nuove tecniche, catturando la sottile essenza di momenti fugaci. Confrontarsi con questa dimensione temporale è l’obiettivo di questa mostra».
Proviamo a fare un salto indietro nel tempo, è il 1930 e Calder sposta il suo interesse dalla ritrattistica e dalla scultura figurativa in filo metallico verso opere non oggettive, realizzate con le lastre di metallo, legno e filo metallico, spesso dipinte. Proprio in quell’anno, dopo la visita all’atelier di Piet Mondrian – «a colpirmi – scrisse Calder in prima persona in un testo del 1951 – erano stati, in particolare, alcuni rettangoli di colore che aveva affisso con le puntine sulla parete secondo un pattern che seguiva il suo temperamento. Gli dissi che mi sarebbe piaciuto farli oscillare, ma lui mostrò disapprovazione» – si verifica il suo debutto nel campo dell’arte astratta. Un anno dopo, nel 1931, presenta alla Galerie Percier di Parigi, una serie di sculture astratte – «qualcosa di serio nonostante non dia l’impressione di esserlo», scrisse Fernand Legér – che descrive come densités, sphériques, arcs e mouvements arrêtés, tra cui Croisiére, realizzata in filo metallico, legno e pittura e tra i primi esemplari l’adesione all’astrazione.
La scultura, composta da due cerchi in filo di ferro intersecati da uno stelo lungo e curvo di spessore maggiore e due piccole sfere dipinte in bianco e nero, è esposta a Lugano in principio di un percorso espositivo che offre la possibilità di ammirare una magnifica selezione di mobiles, termine che usò Marcel Duchamp, nel 1931, in occasione di una visita nello studio di Calder, di fronte alle sculture cinetiche le cui composizioni in continua mutazione sono attivate dalle condizioni dell’ambiente in cui si trovano. Tra i più importanti esemplari c’è sicuramente Eucalyptus (1940), imponente e caratterizzato da un elemento surreale di grandi dimensioni che pende in una tensione palpabile con il pavimento. Ci si perde, davanti e intorno, in una continua mutazione che, grazie a un gioco, coinvolge la dimensione temporale. Altro esempio, di un altro mobile in mostra, è Arc of Petals (1941), organizzato come una cascata, antigravitazionale, di forme grandi e pesanti che ondeggiano in alto e di forme piccole che si agitano in basso: «Muovendosi liberamente e interagendo con l’ambiente circostante, queste opere sembrano dare forma all’aria; cambiano continuamente, giocando con il tempo», spiegano le curatrici.
La mostra al MASI Lugano offre la possibilità di ammirare, attraversando il percorso, anche stabiles e standing mobiles di varie dimensioni, insieme a uno stupefacente corpus di constellations, altro termine proposto da Marcel Duchamp e James Johnson Sweeney in occasione della retrospettiva dedicata a Calder che curarono nel 1943 al Museum of Modern Art. Sette di queste opere furono esposte allora, in America, e sette di queste sono esposte oggi, in Svizzera: Wall Constellation with Row Objects (1943), Constellation with Two Pins (1943), Constellation (sono quattro, tre datate 1943 e una 1944 circa) e Black Constellation. Queste opere, tutte realizzate a partire da forme intagliate e collegate da una rete di rigidi fili metallici, e appese sulle pareti, ad altezze inusuali, conducono al gran finale di Calder. Sculpting Time, dove l’imponente mobile Red Lily Pads (1956) e lo stabile – termine coniato da Jean Arp, in risposta a Duchamp, per le opere statiche – Funghi Neri (1957), di fronte a una grande vetrata che offre una suggestiva vista sul lago e sul panorama circostante.
Forse non sembra soltanto, forse davvero guardiamo «attraverso un’altra dimensione», come ha affermato Alexander S.C. Rower, Presidente della Calder Foundation e nipote di Calder, presentando quello che è un vero e proprio teatro di forze e di movimento che il genio creativo di Calder ha saputo far esistere e che ancora oggi ci permette di passare attraverso e oltre il visibile, attimo fugace dopo attimo fugace dell’esistenza.