Picasso lo straniero, Installazion view, Roma, 2025. Succession Picasso by SIAE 2025. Foto di Vinicio Ferri
Dipinti, sculture, disegni, ceramiche, fotografie, documenti trasformano il Museo del Corso – Polo Museale di Roma nel luogo che accoglie Picasso lo straniero, la mostra organizzata da Fondazione Roma con Marsilio Arte, con la collaborazione di Musée national Picasso-Paris (MNPP), Palais de la Porte Dorée con Musée national de l’histoire de l’immigration, Museu Picasso Barcelona, Musée Picasso di Antibes, Musée Magnelli – Musée de la céramique di Vallauris e importanti e storiche collezioni private europee.
«Ma quanti sanno quali ostacoli il giovane genio ha dovuto affrontare quando è arrivato a Parigi per la prima volta, nel 1900, senza sapere una parola di francese? E come ha fatto a orientarsi nella metropoli moderna, la città tentacolare in preda a forti tensioni sociali? Perché, nel 1914, settecento dei suoi più bei dipinti cubisti sono stati confiscati e, successivamente, venduti all’asta? Perché, nel 1940, mentre è ormai amato e rispettato nel mondo intero, la richiesta di naturalizzazione che ha inoltrato in Francia viene respinta?». Le parole di Annie Cohen-Solal, curatrice e ideatrice della mostra Picasso lo straniero (che si arricchisce intervento di Johan Popelard del Musée national Picasso-Paris) anticipano ciò che il percorso espositivo restituisce visivamente, ovvero le risposte a queste e a tante altre domande su Picasso, benché su di lui sia già stato scritto tutto.
Quinta edizione di un progetto che negli ultimi quattro anni si è spostato da Parigi (Palais de la Porte Dorée) a New York (galleria Gagosian), da Mantova (Palazzo Te) a Milano (Palazzo Reale), la mostra al Museo del Corso – Polo Museale raccoglie più di 100 opere dell’artista, oltre a documenti, fotografie, lettere e video e anche, eccezionalmente, un nucleo di opere selezionate dalla curatrice esclusivamente per il percorso espositivo romano. L’opera L’Adolescente, dipinta il 2 agosto 1969 nel sud della Francia da un uomo di ottantotto anni mentre si volge verso il proprio passato, porta a Roman il vero messaggio i Picasso lo straniero.
Gli occhi neri che catturano lo sguardo, la corona di alloro che gli cinge la fronte, l’eleganza dell’ovale del volto, le labbra ben disegnate, l’ampio collare arricciato, sembrano farlo uscire da un quadro di Velázquez (1599-1660); le mani e i piedi enormi, smisurati, il naso deforme, gli occhi asimmetrici, i capelli corvini, ispidi, ribelli, i colori vivacissimi, appartengono invece al mondo del cubismo (1907-1914) di un artista universale, che parla contemporaneo: l’esperienza dell’emarginazione che ha subito è simile a quella di tutti coloro che, oggi, si scontrano al sistematico rifiuto dell’altro. «Picasso, capace com’è di sopportare le avversità e lavorare con inalterata fermezza, non è forse un nostro contemporaneo?», si chiede e ci chiede Annie Cohen-Solal.
«In Francia Pablo Picasso è un mito nazionale – continua la curatrice – con l’apertura del Musée national Picasso-Paris nel cuore di Parigi nel 1985, le sue opere sono entrate a far parte a pieno titolo del patrimonio dello stato. Non è tuttavia sempre stato così. Pochi sanno che il pittore non è mai diventato cittadino francese e addirittura nel 1901 venne bollato dalla polizia come “anarchico sotto sorveglianza”. Eppure, nonostante le difficoltà, le umiliazioni, i rifiuti e le varie battute d’arresto che Picasso dovette subire al suo arrivo in una Francia xenofoba e appena uscita dall’Affaire Dreyfus, l’artista andò avanti, costruendo ostinatamente la sua opera.
Da questo «Paradosso Picasso» si sviluppa il percorso espositivo che, con forma cronologica, diventa un modo per approfondire come l’artista, maestro dell’arte del Novecento, si sia affermato, straniero in Francia, e abbia imposto le sue rivoluzioni estetiche. Insieme a L’Adolescente, sono esposti in mostra inediti assoluti, come Bosco su un versante montano, un olio su tela montata su tavola dipinto nel 1899 e proveniente dal Museo Picasso di Barcellona e Al Ristorante del 1900, da una collezione privata: due opere che illustrano in modo lampante il cambio di prospettiva del giovane Pablo, quando lascia Barcellona per Parigi. Significativa è anche la presenza di disegni, come Il doppio ritratto Cocteau/Picasso del 1962, che si collega proprio alla collaborazione tra i due artisti per il balletto di Parade, realizzato anche per il Teatro dell’Opera di Roma, che ospitò la tournée romana dei Balletti Russi; e il disegno preparatorio del 1942 per la scultura L’uomo con la pecora, raffigurante il corpo di un uomo umile e fragile che, come offerta sacrificale, porta sulle spalle una pecorella smarrita.
Quest’opera, replica ai nudi imponenti di Arno Breker, è una risposta sincrona e un political statement dell’artista al fascismo. «In opposizione al mondo dell’uomo nuovo (stracolmo di eroi, vincitori e conquistatori), Picasso sceglie di stare dalla parte del debole, del malato, del «degenerato» (l’ebreo, lo zingaro, lo storpio, l’omosessuale, il massone, il bolscevico), cioè dalla parte dell’altro sulla falsariga del notevolissimo Agnus Dei di Zurbarán. Sfida, obolo, sacrificio, cammino verso il martirio? L’uomo con la pecora, di cui Picasso donerà la versione in bronzo al comune di Vallauris nel febbraio del 1950, quando gli verrà conferita la cittadinanza onoraria, è senz’altro una delle testimonianze più significative degli anni dell’occupazione», afferma Annie Cohen-Solal.
«Grazie alla mostra Picasso lo straniero organizzata dalla Fondazione Roma in collaborazione con Marsilio Arte, il grande artista andaluso, spirito libero e insofferente verso condizionamenti esterni, viene nuovamente accolto nella Capitale a distanza di più di un secolo dalla visita che egli compì, intrattenendovisi per alcuni mesi nella stimolante compagnia di altri geni della letteratura, della danza, della musica da par suo. Anche nella presente circostanza, desideriamo con questa mostra tributargli gli onori che gli sono dovuti, in quanto genio senza tempo, patrimonio dell’umanità, testimonianza di valori, sentimenti, significati, principi e ammonimenti che possono considerarsi immortali. Accoglienza che gli fu ufficialmente negata per molti anni dallo stato francese, nei primi decenni del secolo scorso, assai sensibile verso temperamenti esuberanti e non in linea con le ideologie nazionaliste di allora, e che, invece, nuovamente Roma volentieri idealmente gli concede in un anno particolare, quello giubilare che, fin nel motto prescelto, «Pellegrini di speranza», ripropone i temi dell’accoglienza, dell’immigrazione, della diversità, del rapporto tra popoli e culture diverse e all’interno di un museo», afferma Franco Parasassi, Presidente Fondazione Roma.
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