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Pier Paolo Perilli, visioni da un reale mistico: la mostra alla Galleria Delfini di Roma
Mostre
Quella del mito è una dimensione arcaica, eppure è arrivata a noi facendosi spazio fra le epoche senza diventare mai davvero obsoleta. La volontà di raccontare è intrinseca alla natura umana, tanto da spingere delle creature all’alba della loro evoluzione a imprimere la loro quotidianità sui muri di una caverna, o ad inventare incredibili storie di eroi e divinità. Pier Paolo Perilli, accolto da Eugenia Delfini per la sua prima mostra in una galleria, pare essere uno dei pochi a essersi reso conto che tutti noi siamo, in un certo senso, eroi della nostra epopea. Se il tempo dovesse preservare l’attuale allestimento della galleria Delfini, un curioso esploratore di qualche migliaio di anni più giovane di noi che siamo vivi oggi, potrebbe imbattersi in questo luogo ed emozionarsi dinanzi all’inaspettato ritrovamento di un tempio i cui “arazzi” si dedicano al racconto di un’antichissima leggenda, di un eroe solitario figlio di una madre bifronte.
Nelle sue opere Perilli converte le sue visioni in colpi rapidi e corposi, uno sciamano impegnato in un atto spontaneo guidato da un’unica volontà, quella di immortalare le immagini che gli danzano nella mente. È sufficiente uno sguardo per capire che in molti casi l’unica cosa che conta è essere veloce, perché i pensieri sono creature fuggevoli e l’unico modo per capirli davvero è guardarli da fuori, renderli materici. Dipinge su tele usate e le lascia libere dalle intelaiature, evidentemente l’artista non si preoccupa della presentabilità, forse perché concepisce l’opera come la creazione di un contatto tra due realtà, più che come la costruzione di un oggetto da esposizione.
Le tele infatti, essendo tutte senza titolo, non solo si distaccano da una logica da catalogo, ma non concedendo nessuna parola chiave che suggerisca una possibile lettura, mantengono come unica forza comunicativa le loro stesse immagini. I visitatori dunque, sprovvisti d’ogni tipo di aiuto, si ritrovano nella stessa condizione dell’esploratore di cui abbiamo parlato poc’anzi, sovrastati da immagini variopinte e surreali che devono provare a capire, a cui devono riuscire a dare un significato. Forse alcune delle opere, o addirittura nessuna, neanche l’artista stesso sarebbe in grado di spiegarle.
Ciò che traspare da alcune delle opere, oltre l’atteggiamento irriverente e la sarcastica assurdità, è la presenza di una sorta di emotività romantica celata dietro l’apparenza dura di uno sguardo rude e diffidente. Prendiamo ad esempio una delle tele che personalmente mi ha colpito di più fra quelle esposte in galleria.
Due personaggi passeggiano in uno spazio libero e ordinato, ma il bianco nel quale sono immersi non è un semplice spazio vuoto ma piuttosto un riempimento arioso, che concede allo sguardo dello spettatore un momento di respiro, dopo essere stato trascinato nel caos delle altre visioni di Perilli.
L’ambientazione non è chiara, viene più evocata che illustrata e certamente questo bianco dominante contribuisce ad immaginare un paesaggio innevato, forse di montagna, caratterizzato solo da un mazzo di fiori che chiudono il lato sinistro della scena e da un accenno di tronco d’albero che chiude il lato destro. I protagonisti passeggiano tenendosi a braccetto, il loro aspetto, a cui siamo ormai abituati, è caratterizzato dai tipici tratti sgraziati già visti nelle altre opere dell’artista.
La narrazione di questa tela è particolarmente interessante perché fonda la sua forza comunicativa nello scambio di sguardi che avviene tra i protagonisti. L’uomo lancia un’occhiata severa alla sua consorte e la donna ricambia con un sorriso senza neanche voltare lo sguardo. Un’espressione burbera di un carattere orgoglioso, forse troppo persino per mostrarsi felice, che trova comunque un riscontro affettuoso e comprensivo, che spegne quell’apparenza amara e ci mostra la vera natura del loro rapporto.
Queste visioni, dunque, ben riescono a cogliere e a trasmettere le diverse sfaccettature dell’artista, dimostrando la sua capacità di raccontarsi mantenendo sempre una distanza quasi mistica, lontana dalla dimensione illustrativa; trattando i temi in senso lato, sfruttando un linguaggio apparentemente sconnesso e caotico. Ma è proprio grazie alla cripticità di questa narrazione mitologica, che concede al pubblico la possibilità di sentirsi in qualche modo inclusi. Di vedere anche qualcosa di sé nelle fatiche, gli amori e le delusioni dell’eroe, rendendo così il suo racconto immune alla banalità e irraggiungibile dall’obsolescenza.
In conclusione, dare un’interpretazione oggettiva alle visioni di Perilli è impossibile quanto cercare di darla a delle leggende di migliaia di anni fa. Nonostante ciò, quando ci scontriamo con questa verità e ci rendiamo conto di non star riuscendo nell’impresa, preferiamo abbassarci a intenderle come rappresentazioni fantasiose della realtà, costruite da menti ingenue in un mondo complicato.
Ma tanto quanto è un mito quello di Prometeo, lo è anche quello dell’eroe urbano che ci attende all’ingresso della galleria e tanto quanto è evocativa l’idea del vento Zefiro, capace di ingravidare le vergini, lo è anche l’immagine di una donna incinta sulle sponde di un fiume sul quale vola veloce un gruppo di volti dai nasi e le orecchie puntute. Elementi che affascinano e incuriosiscono, che con una scintilla accendono il desiderio di scoprire di più e che uno sguardo più attento ed emotivo può usare per orientarsi in un mondo sconosciuto eppure familiare, nuovo ma dalle sembianze di un vecchio ricordo.
Le tele caotiche di Pier Paolo Perilli ci fanno capire che le storie, anche se surreali, rendono tutto più vero. Forse è per questo che non abbiamo mai davvero smesso di dargli importanza, perché anche se sono bugie non si può dire che non siano belle.
La mostra di Pier Paolo Perilli alla Galleria Eugenia Delfini di Roma sarà visitabile fino al 28 giugno 2024.