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Pino Pascali e Toti Scialoja: l’allievo e il maestro sono in dialogo a Bari
Mostre
Pino Pascali nacque a Bari il 19 ottobre 1935, figlio di Francesco e Lucia, entrambi originari di Polignano a Mare, città che significò molto per il suo immaginario artistico ed umano. Nacque, più precisamente, in via Dalmazia 58 nel cuore del quartiere Madonnella, a pochi passi dal mare che considerò sempre il traguardo della sua arte. A qualche centinaio di metri da qui, fino al 4 maggio 2025 è aperta al pubblico, negli spazi dell’incantevole Kursaal Santalucia, la mostra Pino Pascali Toti Scialoja. Confluenze, curata da Federica Boragina e Eloisa Morra con Antonio Frugis. Pino Pascali e Toti Scialoja: l’allievo e il maestro.
Toti Scialoja è stato docente di Pascali all’Accademia di Belle Arti di Roma, era un profondo oppositore del realismo e di qualsivoglia eco dello stile ottocentesco, anzi era solito incoraggiare il contatto con le novità proposte dall’arte internazionale. Questo nuovo approccio era dovuto alla lunga contaminazione che Scialoja ebbe con la realtà americana, in pieno fermento per l’ascesa della Pop Art, che faticava a trovare terreno fertile in Italia. Per questa ragione, scelse di proporre ai suoi studenti un approccio del tutto inedito, tendente all’astrattismo, non più legato alle tempere ma a materiali ben diversi, come il bitume, le vernici, la polvere di marmo e la sabbia. In quest’ottica, scelse di proporre ai suoi studenti la mostra di Rauschenberg alla galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis.
L’allievo Pascali si mostrò particolarmente attento a questo nuovo modo di intendere l’arte, tanto da esprimerla attraverso sia continue sperimentazioni volte all’alterazione materica degli oggetti e delle superfici, sia l’assemblaggio di materiali di risulta a cui diede nuova vita. In un certo senso, fraintese deliziosamente il pensiero del maestro: «Lo rimproveravo perché quello che io insegnavo ad usare come mezzo – l’osservare la materia – per lui era un fine», dirà Scialoja, durante un’intervista, a Francesca Alfano Miglietti. Difatti, l’arte di Pascali non si esplica tanto negli esiti del suo lavoro, quanto nella sua capacità, quasi fosse un antico demiurgo, di controllare e trasformare i materiali più umili in arte purissima.
La mostra si articola dunque più come una conversazione a due voci tra le vicende artistiche di due uomini, in viaggio verso destinazioni a volte simili, altre volte diversissime. Una meta comune fu l’America: per Scialoja familiare e conosciuta (espose, ad esempio, alla Galleria Viviano a Manhattan con le sue celebri impronte), per Pascali lontana e fantastica con skyline avveniristici e strade sempre in tumulto nelle quali ambientò le vicende grottesche di un gruppo di mafiosi incravattati dai nomi ridicoli – Al Cafone, Jonny Scicchettoso, Joe Malamente – impegnati in una guerra di mafia per accaparrarsi l’ambito gelato Algida.
In questo contesto, si indagano inoltre gli impatti che le esperienze teatrali hanno avuto sulla produzione di Pascali, in particolare attraverso il legame con Scialoja. Quest’ultimo, grazie alla sua lunga carriera teatrale iniziata negli anni ’40, introduce Pascali al teatro d’avanguardia dove la dimensione scenica è una “seconda realtà”: illusoria e antinaturalistica – come sempre sarà tutta l’arte di Pascali.
Altro discorso per i soggetti animali, passione comune di entrambi. Scialoja usò la sua abilità nel disegno, spesso zen e simbolico, per accompagnare il testo poetico: attraverso immagini semplici e ripetitive (come quelle degli animali), propone un linguaggio che non è diretto, ma che vuole suscitare una riflessione più profonda. Ad esempio, i suoi animali, come ragni, balene, giraffe e ghepardi, sono tanto surreali quanto affascinanti. Anche per Pascali non troviamo una perfetta aderenza con il reale, bensì la volontà di ricordarne i tratti attraverso una citazione essenziale della forma originaria. D’altra parte, a giudizio di Pascali, si trattava di “finte sculture” perché l’artista non lavorava la pietra o il marmo ma si serviva, piuttosto, di tele bianche: queste sculture legano assieme due aspetti decisamente contrastanti tra loro come la leggerezza e la monumentalità. Entrambi gli artisti si approcciano al mondo animale con un’intenzione giocosa e metafisica, usando queste immagini per esplorare temi esistenziali e concettuali, ma sempre in un registro di marcata ironia e non-serietà.
L’esposizione rappresenta un importante appuntamento per valorizzare la figura di Pino Pascali, in relazione ai nomi che lo hanno ispirato o con cui ha collaborato. Osannato fuori dalla Puglia (si pensi alla monumentale mostra monografica allestita alla Fondazione Prada di Milano, con la curatela di Mark Godfrey), Pino Pascali torna a “casa” e negli spazi della mostra non è insolito intercettare alcune testimonianze di visitatori che sono stati compagni di scuola o vicini di casa di un artista poliedrico che non riesce ad avere una cornice definita perché essa lo limiterebbe: il limite per Pascali esiste solo perché esso deve essere scavalcato. Solo in questo senso può essere compreso in minima parte, vedendo come la sua anima allaghi lo spazio che lo circonda. Una vita che è di circa 33 anni, circa 32 mq del mare della sua Puglia che si porta dentro.