Il piano inferiore della galleria è dedicato alle opere storiche di Pino Pinelli, che arriva a Milano negli anni ’60 e dal decennio successivo comincia a lavorare ad una serie di esperimenti che danno vita alla cosiddetta corrente dell’”Arte Analitica”, dove tela cornice, segno e materia divengono le basi da cui fondare un nuovo tipo di composizione. È infatti del 1973 una delle Topologie esposte all’inizio del percorso espositivo, un’opera in cui Pinelli segue i fondamenti di una geometria non euclidea: deforma le figure, sfuma il colore, non definisce le tonalità; si tratta dei primi tentativi dell’artista catanese di andare oltre il figurativo ma anche superare il concettuale imperante in quegli anni. Al centro dell’arte di Pinelli vi è la forma, la rimodellazione dello spazio e della materia, la pittura.
«Il quadrato svirgola, è una geometria topologica, non euclidea» asserisce il curatore della mostra Federico Sardella. Già nel 1974 scompare addirittura il fondo bianco, i monocromi di Pinelli acquisiscono una nuova profondità e spazialità grazie esclusivamente alle variazioni di colore. Sempre nelle parole del curatore: «Lo spazio bianco sparisce e diventa tutto un monocromo e il focus si sposta sulla differenza tra le velature, tra le tonalità del colore». Sono quindi le sfumature e le increspature del colore a dare quel “respiro” rinnovato alla pittura. Pinelli pensa alla pittura nella sua totalità, le tele iniziano a chiamarsi letteralmente “Pittura” e al titolo viene aggiunta lettera che rimanda al colore della composizione (R per rosso, N per nero e così via).
La tela è sostanzialmente una flanella non preparata, che l’artista stuzzica con l’aerografo. In questo modo, riesce a rendere la materia così “reale” che assomiglia quasi a vera pelle. La struttura viene alterata dal contatto con la pittura. La necessità di Pinelli è proprio quella di rendere materica la pittura. “Bisognerebbe poter toccare la pittura, sentirla” diceva nel corso di una mostra negli anni ’70, durante la quale fece mettere di fianco ad una “Pittura” una pelle di daino, per consentire agli spettatori di comprendere realmente cosa intendesse creare sulla superficie materica delle proprie tele.
Il 1976 è un anno fondamentale per Pinelli. «Basta, lo tolgo il quadro» diceva sempre l’artista, liberandosi del supporto pittorico per fare in modo che la parete stessa entrasse dentro l’opera. La “rottura” del quadro è il momento in cui Pinelli diventa Pinelli, in cui il già labile confine tra opera e ambiente circostante si fa sempre più indefinibile. Nello stesso anno inizia il filone delle Disseminazioni, viene ampliato il “quadro d’indagine” e la parete diventa a tutti gli effetti la superficie su cui agisce il pittore. In mostra ne troviamo di varie forme, colori e dimensioni, stagliate sulle pareti della galleria milanese come riscrittura della sintassi pittorica e culturale di Pinelli. Frammenti che vagano nello spazio posizionati sul muro, che diventa così parte integrante dell’opera.
Al piano di sopra si passa agli anni ’80, periodo nel quale il lavoro di Pinelli si fa più corposo, robusto. La struttura delle composizioni resta in legno poliuretano, avvolto da un tessuto elasticizzato con successive fasi di pigmentazione che conferiscono alle opere una certa pulsione data dal colore e dalle sue velature. Usa nuovi materiali per dare un senso del pieno, «per toccare la pittura non sentendo solo la superficie ma la superficie con la carne nella sua struttura». La pittura per la pittura, la pienezza della materia contro il concetto a tutti i costi e l’astrazione dalla realtà che rappresentano i principali filoni dell’arte contemporanea a Pinelli. I colori sono sempre primari o complementari col grigio, la semplicità delle forme è contrapposta alla misteriosità dell’arte concettuale.
Le opere degli anni ’90, in particolar modo gli Abbracci, sono quelle in cui la pittura di Pinelli si “autoporta”, come fosse materia solidificata. Se nel decennio precedente si può comunque identificare una direzione, una linea che regge la composizione delle opere, qui le forme danno vita ad una “danza matissiana”, si toccano, si sfiorano, si incrociano. Alla fine, si abbracciano, e la pittura si fa poesia. In conclusione dell’esposizione troviamo dei lavori della fine degli anni ’90, in cui Pinelli abbandona le forme irregolari in favore di una razionalità geometrica. Le forme si increspano, sopraggiunge una nuova tensione superficiale. Questo climax culmina con le ultime opere degli anni 2000, quando Pinelli “scava nella materia, vedendo nell’essenza”, come accade evidentemente negli Incroci. Le opere più recenti, realizzate tra il 2022 e il 2023, sono anche le ultime creazioni di un artista che, più che indagare su se stesso e la propria interiorità, ha cercato di tirare fuori le emozioni dall’arte della pittura, quasi come fosse un essere senziente e non un mero strumento di rappresentazione del mondo.
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