Rä di Martino presenta a Lodi, nella vetrina di Corso Umberto sede di Platea | Palazzo Galeano, il suo progetto Play, accompagnata dalla curatela di Benedetta Monti e Niccolò Giacomazzi, con la collaborazione della Galleria Valentina Bonomo di Roma.
Installazione site-specific, già presentata con moduli e colori differenti al Forte Belvedere, Play nasce dalla fascinazione di Rä di Martino per il mondo cinematografico e i dispositivi che vengono utilizzati. Nel cuore del capoluogo lodigiano utilizza dei Frost. L’opera è realizzata con stativi, luci colorate e pellicole, ovvero quanto generalmente usato per creare o modificare la luce nei set cinematografici, per illuminare gli attori o creare l’atmosfera della storia che si sta raccontando. Se, di solito, si utilizza il bianco per rendere la luce perfetta, Rä di Martino sceglie invece led di colore rosso, variandone l’intensità nel corso della mostra, dando vista a una cromia che riconosciamo come quella di un tramonto.
Si tratta, senza dubbio, di un lavoro sulla finzione. Play crea la finzione senza che ci sia la storia: restano gli strumenti, solitamente nascosti dietro le quinte che, decontestualizzati, creano luce e assumono un nuovo valore, quello dell’opera stessa. Questo modus appartiene a Rä di Martino, che spesso ha osservato e osserva la relazione che la memoria e le dinamiche singole e psicologiche dell’individuo contemporaneo instaurano con la cultura diffusa dai mass media, dal cinema alle fiction, fino agli slogan pubblicitari. È evidente, sempre più, che questi mezzi sedimentino un immaginario collettivo, intrecciandosi su più piani e andando a formare un’enciclopedia sentimentale libera di qualsiasi ordine alfabetico o di genere.
Visivamente si ha l’impressione di trovarsi di fronte a dei grandi quadri monocromi. Non possiamo avvicinarci fisicamente, non possiamo andare oltre la vetrina. Eppure ne siamo parte, guardando Play dall’esterno finiamo con l’appartenerle perché la vetrina ci riflette. A livello finzionale non sussiste distanza alcuna. E non c’è da stupirsi, siamo consapevoli che nella nostra epoca la finzione cinematografica ci fornisce quanti più strumenti utili, a livello collettivo come anche personale, a determinare le nostre esperienze: un bagaglio per muoversi nel reale attraverso l’associazione di ricordi, o un fardello che inibisce pensieri nuovi e visioni inedite.
Rä di Martino sembra aver scelto di premiare le visioni inedite partendo da ciò che è semplice e che sta all’origine. Ecco perché sceglie come manifesto per accompagnare la mostra un dialogo tra John Rambo (Sylvester Stallone) e Masoud (Spinos Focas) dal film Rambo III: «Cos’è questo?», chiede Masoud. «Luce blu», risponde Rambo. «E cosa fa?», chiede di nuovo Masoud. «Diventa blu» conclude Rambo.
Nella sua evidenza, che stempera, alleggerisce e ironizza, questo scambio di battute ha lo straordinario potere di riportarci alla semplicità e all’origine del materiale. Rä di Martino ci mostra, con la luce, ciò che esiste a prescindere da e in funzione di una finzione cinematografica. Ci porta nel dietro le quinte rendendoci spettatori ma anche attori. Play non copia né rappresenta la realtà esterna, bensì sottolinea le connessioni intrinseche e i legami che ogni individuo percepisce più o meno significativamente nell’intreccio infinito che compone la realtà. Come se Rä di Martino verificasse, empiricamente, il vivere contemporaneo nella forma di una narrativa semplice, minimale, originaria.
Il format espositivo ideato da Platea è improntato al dialogo tra un’artista leader, quest’anno appunto Rä di Martino, e quattro artisti under 35, suoi allievi con cui lei lavora nell’elaborazione e nello sviluppo dei loro progetti: Valerio D’Angelo, Martina Cioffi, Vittorio Zeppillo e Camilla Gurgone. E allora, che l’impulso a un nuovo ecosistema relazionale basato sulla condivisione e avviato dall’incidenza di sguardo abbia nuovamente inizio.
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