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Dopo i grigiori invernali, la primavera di Londra sarà ricchissima di colori, grazie a due grandi artisti, da un capo all’altro della storia: Artemisia Gentileschi e Andy Warhol, rispettivamente alla National Gallery e alla Tate Modern. Blockbuster? Forse ma, in effetti, nemmeno tanto, visto che si tratta della prima grande monografica che un museo della Gran Bretagna dedicata ad Artemisia, mentre la Tate non proponeva una mostra incentrata su Andy Warhol da almeno 20 anni. E poi, quando si muovono istituzioni di questa portata, mai dare nulla per scontato.
Artemisia alla National Gallery
La scelta dell’artista romana non è stata casuale, visto che nel 2018 la National Gallery ha acquistato un suo autoritratto come Santa Caterina d’Alessandria, sborsando 3,6 milioni di sterline, il primo dipinto di Artemisia che entra a far parte di un collezione pubblica del Regno Unito. Considerando poi che, su una collezione totale di 2300 pezzi, solo 20 opere sono a firma di artiste, l’acquisto prima e la mostra poi rappresentano una presa di posizione istituzionale, per invertire una certa narrativa maschilista considerata ormai assolutamente arbitraria, se non illegittima e sicuramente antistorica.
«Artemisia è una figura ispiratrice di resilienza e creatività indomita dinanzi a notevoli difficoltà. Mi auguro che questa mostra porterà alla ribalta le capacità artistiche di Artemisia, in modo che i visitatori possano apprezzare appieno la pittrice di talento e la straordinaria donna che realmente era», ha commentato Letizia Treves, curatrice della mostra, che sarà visitabile dal 4 aprile al 26 luglio 2020.
La storia ben nota di Artemisia è poi particolarmente esemplare. Nata a Roma l’8 luglio 1593 e morta a Napoli tra il gennaio e il febbraio 1654, era la primogenita del tardomanierista Orazio Gentileschi. A proposito, ricordiamo che la National Gallery è recentemente riuscita ad aggiudicarsi all’asta un’opera proprio di Orazio, il Ritrovamento di Mosè, che era a rischio di esportazione. Il legame famigliare ha la sua importanza, perché fu proprio il padre a insegnare alla figlia i primi rudimenti del mestiere, come la preparazione dei materiali e dei pigmenti la cui composizione, in quei tempi, era gelosamente custodita dalle botteghe e rappresentava una sorta di firma stilistica.
Ma Orazio era comunque un uomo del ‘600 e all’epoca la pittura era considerata affare prettamente maschile. Così Artemisia imparò ma relegata tra le mura domestiche. Eppure, nonostante le restrizioni paterne, riuscì a raccogliere gli influssi culturali che animavano Roma, rimanendo colpita, in particolare, dallo stile di Caravaggio che, secondo alcuni storici dell’arte, frequentò la bottega di Orazio.
E ci riuscì talmente bene che, alla fine, il padre si convinse a farla entrare nell’attività. La sua prima opera “ufficiale”, risalente al 1610, è una Susanna e i vecchioni, attualmente in Germania, che sarà in prestito alla National Gallery per la mostra. Artemisia riprese più volte questo tema nel corso della sua carriera, da vari punti di vista, e anche il suo ultimo dipinto, sempre sullo stesso soggetto, risalente a 42 anni più tardi, nel 1652 e oggi nelle collezioni della Pinacoteca Nazionale di Bologna, sarà incluso nell’esposizione.
Molti dipinti di Artemisia sono stati interpretati in passato come autobiografici e non vi è alcun dubbio che la sua identità sia strettamente intrecciata con la sua produzione artistica. Per esempio, nell’episodio biblico di Susanna, si potrebbe vedere un riflesso della drammatica vicenda dello stupro, perpetrato dal pittore Agostino Tassi e che causò enormi sofferenze ad Artemisia, costretta a difendersi anche dalla morale dell’epoca. Alla fine, pur vincendo il processo de iure, la donna umiliata fu costretta ad abbandonare Roma e recarsi a Firenze.
In mostra a Londra, molte opere del periodo fiorentino, durante il quale Artemisia usò ripetutamente la propria immagine, forse come mezzo di autopromozione. La sala dedicata al suo periodo fiorentino si aprirà con un trio di opere in cui è lei stessa a fare da modella: l’Autoritratto come martire (collezione privata statunitense), l’Autoritratto come suonatrice di liuto (Wadsworth Ateneo Museo di Arte, Hartford, Stati Uniti) e l’Autoritratto come Santa Caterina di Alessandria, già della National Gallery. E in questa occasione sarà esposta anche l’altra Santa Caterina di Alessandria, quella delle Gallerie degli Uffizi, strettamente correlata con quella londinese. In mostra anche le due tele di Giuditta che decapita Oloferne, quella del Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli, e quella degli Uffizi.
Due sale della mostra saranno dedicate al periodo di Artemisia a Napoli, la città in cui trascorse gli ultimi venticinque anni della sua vita e dove aprì un fiorente atelier con la figlia Prudenza, anche lei pittrice. La chiusura è invece riservata al breve viaggio di Artemisia a Londra, dove si ricongiunse con il padre pochi mesi prima della sua morte.
Andy Warhol alla Tate Modern
Aprirà invece il 12 marzo la mostra che la Tate Modern dedica a Andy Warhol, l’artista per eccellenza del XX secolo, la cui estetica ancora condiziona la cultura visuale contemporanea.
Timido omosessuale cresciuto in una famiglia religiosa di migranti cecoslovacchi a basso reddito, la vita per Andrew Warhola avrebbe potuto svolgersi in maniera molto diversa. Ma negli USA tutto è possibile e la mostra alla Tate Modern, organizzata in collaborazione con il Museum Ludwig di Colonia, la Art Gallery of Ontario e il Dallas Museum of Art, documenta precisamente tutto l’incredibile percorso di vita e di arte di Andy Warhol, da Boy with flowers, del 1955, a Sixty Last Suppers, del 1986.
Attraverso alcune delle opere chiave del periodo pop, come Marilyn Diptych del 1962, Elvis I e II del 1963/1964 e Race Riot del 1964, saranno esaminate le questioni sottintese della cultura e della politica americana, mentre l’impulso e l’ambizione illimitata di Warhol a spingere i confini tradizionali dei media sarà rappresentato attraverso i suoi famosi Screen Test e la ricreazione dell’ambiente multimediale psichedelico di Exploding Plastic Inevitable, originariamente prodotto per gli spettacoli dei Velvet Underground. I visitatori potranno anche sperimentare l’installazione galleggiante Silver Clouds del 1966, pensata inizialmente da Warhol per segnare il suo “ritiro” dalla pittura a favore del cinema.
E poi i lavori dell’ultimo periodo, in cui emergono con forza gli anni ‘80, come la commovente Sixty Last Suppers del 1986, in mostra per la prima volta nel Regno Unito, contestualizzato nell’ambito della crescente epidemia di AIDS e del suo impatto nella vita di molti dei componenti della cerchia ristretta degli amici di Warhol.