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Quattro artisti per un salto dalla realtà. La mostra a Palazzo Lucarini
Mostre
«Non vi è infatti mutamento che si inizi dalla quieta ancora immobile ne’ dal movimento ancora in moto. Ma questa natura dell’istante è qualche cosa di assurdo che gioca tra la quiete e il moto, al di fuori di ogni tempo, e così verso l’istante e dall’istante ciò che si muove si muta nello stare e ciò che sta si muta nel muoversi», “Platone, Parmenide”, a cura di F. Ferrari.
Nell’attimo precedente l’arrivo a terra, in quel momento sospensivo che ferma il tempo in un aereo intervallo, il salto si colloca e si delinea come istante di un volo contemporaneamente al di fuori e dentro la soglia temporale, come mutamento insito in un presente vibrante: la mostra “SALTO” di Pierluigi Calignano, Fabio Giorgi Alberti, Gian Maria Marcaccini e Gioacchino Pontrelli, a cura di Maurizio Coccia e Mara Predicatori, presso le sale di Palazzo Lucarini a Trevi, si colloca in questa realtà simultanea, variegata e molteplice, in un accordo tra contrari armonizzato tra le ricerche degli artisti che travalicano e comprendono la temporalità, congiungendosi in un visibile immanente, sfaccettato e multiforme.
Vivendo in attimi di luce mutevoli, in fluidità racchiudenti simbologie apotropaiche, in lessici e rispecchiamenti atmosferici, in geometrie coloristiche dominative di architetture riflettenti, in poeticità ed echi paesisti ed astrattivi innestati in eleganze collagiste, le opere percorrono le coordinate dello spazio museale in un dialettico scambio ritmico, in un dialogo linguistico tra le ricerche, il mezzo, il luogo e la variazione luminosa dello scorrere del giorno, segnando e catturando l’attimo incalzante, l’eternità della forma, il fuggevole e improvviso mutare, rimanendo presenzialità rispondente e contrappuntistica, trascendente e inclusiva diacronia.
Nelle opere pittorico-installative di Pierluigi Calignano forma e colore, costruzione geometrica e transizione luministica, si fanno interrogazione percettiva dello spazio nei suoi valori dimensionali esistenziali, nelle pluralità prospettiche e orientative, indagine sull’atto creativo e sul mondo della visione come sistema e campo in continuo divenire, irradiazione del visibile e traccia progettuale di un percorso in fieri.
L’opera Le persone che tengono lo stesso passo diventano necessariamente indispensabili l’una a l’altra nell’impossibilità di accesso all’interno dell’installazione, moltiplicata nelle direttrici tangenti poste nelle aperture della sala, vive di una intensità rilucente accentuata dal materiale pavimentale che si propaga lungo le linearità compositive, irraggiando le quadrature a parete lavorate da Calignano per gradazioni cromatiche lievi, accurate e fini, definendo angolazioni visive plurime, variabilmente infinite, rinnovate e riformulate ad ogni cambio di luce e punto di vista.
Nelle opere di Fabio Giorgi Alberti il linguaggio prende forme e cromie cangianti in una poetica atmosferica che avvolge lo spazio attraverso tonalità attraenti e polarizzanti, lo racchiude e rivela in frastagliate partizioni riflettenti lasciate libere dal colore, che pure incide e attribuisce la propria temperatura ad ogni rispecchiamento.
In Appunto #2. Precisely segni linguistici susseguenti formano un tracciato poetico espressivo dalla cadenza netta, quasi tagliente, convogliante in un aere turbinosa e folgorante dove tono linguistico e cromatico si corrispondono in una tensione vivida e acuta.
Gian Maria Marcaccini nella poetica reiterazione di un materiale tecnico funzionale compone simbologie ancestrali e primigenie, che, permanendo in forme metaforiche, si innescano su manufatti e prodotti tecnologici, virtuali o industriali, tracciando un percorso intimo e significante, come linfa primitiva commista a strutture meccaniche dinamiche, come proiezione di leggende mitiche e di tradizioni antiche sospese in congegni o oggetti comuni.
L’opera Apotropaica (Foldable #7), come emblematicamente dichiarato nel titolo, diviene elemento propiziatorio e linearità componibile dalla valenza rituale, generativa di uno scorrere fluido e serpentino richiamante divinità arcaiche, le Gorgoni, terrifiche e al contempo protettive, traduzione di un’alterità soprannaturale costituita in neon e scale in ordinamento circolare.
Nelle opere di Gioacchino Pontrelli il proteiforme si scopre ed evidenzia nelle linee di congiunzione e di forza, nei riverberi, conflitti e flussi cromatici che danno luogo ad un incantamento deflagrante e rapsodico, unito nell’armonia pittorica e collagistica orchestrata in delineamenti tangenti e poliedrici, in balzi di materiali e toni coloristici iridescenti.
In Cuore generico le immagini paesaggistiche si ribaltano in verticalità nette, intersecate da elementi geometrici definenti equilibri, co-incidenze, frazionamenti ritmici e spazialità articolate tra confutazione mimetica e vertigine astrattiva.