Quattro artisti. Quattro diversi sguardi. Quattro declinazioni diverse dell’idea di paesaggio. Quattro linguaggi differenti. Ma con un identico rapporto, per nascita o origine, con realtà minori della Cataloña e una strettissima vicinanza generazionale: Judit Bou (Vic, 1996), Marta R. Chust (Barcellona, 1995) e Roc Domingo Puig (Lleida, 1992), Albert Gironès (Valls, 1995) e Laura Palau (Benlloc, 1993). E così, l’intero spazio di AlbumArte è occupato e alterato dai lavori degli artisti selezionati dalla curatrice Benedetta Casini, durante la sua residenza a Barcellona come vincitrice del SAC International Curatorial Residency Program 2024. Tutti lavori nati nel corso della pandemia Covid che, tra i tanti limiti e costrizioni, ha spinto molti a trovare conforto nelle zone rurali.
Proprio il concetto di “natura” ha fatto scattare questa riflessione sulla nozione stessa di “natura” che, come la stessa curatrice indica attraverso le lucide riflessioni di Bernard Charbonneau nel Giardino di Babilionia, «è una costruzione culturale, messa in atto dalla società urbana per riparare all’irreversibile scissione fra l’uomo e il cosmo». Quello stesso acume col quale Bruno, nel film Le otto montagne, afferma che «Siete solo voi di città che la chiamate natura, perché è così astratta nella vostra mente, che è astratto anche il nome», perché, chi vive nella “natura”, vede boschi, pascoli, fiumi, montagne, campi, e così via. Quella separazione che ha prodotto un susseguirsi di violenze e modificazioni all’equilibrio stesso della “natura”. Rivolgendo lo sguardo verso queste realtà, sia da un punto di vista “interno” che “esterno”, che hanno tracciato un “solido” ritratto di tale paesaggio.
È attraverso questo sguardo, rivolto a piccole storie, a pressoché invisibili tracce, che sottolineano importanti verità universali. Il tempo, l’attenzione, la cura, l’ascolto, la vicinanza, la connessione, le relazioni, sono i medicamenti che possono/potrebbero ricucire quel rapporto con l’ambiente, da troppo tempo trascurato. Altro elemento interessante della mostra è, pur in una dimensione contenuta, una puntuale rassegna dei diversi linguaggi artistici, attraverso la fotografia, il video, l’installazione, la scultura. Che si aggiunge all’altra capacità di aver riprodotto un ambiente intimo, raccolto, e, allo stesso momento, collettivo.
Laura Palau, con l’installazione Flexió de Xilema (Flessione dello Xilema, 2020-2023), riunisce cinque fotografie di alberi (noce, agave, olivo, mandorlo, pino), appartenuti ad altrettanti agricoltori (Seno, Julio, Blas, Nati, Pablo), le cui cornici sono realizzate col legno degli alberi ritratti, amplificate da elementi scultorei ricavati da quegli stessi alberi (sedia/scala, dijeridù, mitjana, il gioco scala di giacobbe, sezioni dell’albero colpito da un fulmine). Attraverso l’ascolto dei piccoli accadimenti, ogni albero esce dall’anonimato, acquisisce spessore e personalità, senza perdersi nella confusione della moltitudine, evidenziandone il precipuo ruolo in una specifica vita; operazione che chiude il ciclo di ogni elemento, senza disperderne la storia e perderne la traccia, lasciandone duratura memoria.
La grande installazione Tomàquets (Pomodori, 2020-2022) di Judit Bou, realizzata con duecentodue stampe digitali, ricopre in tutta la loro ampiezza, le due pareti della grande sala d’ingresso. E sottolinea l’impossibilità. Nello specifico, quello di ritrarre pedissequamente, attraverso la fotografia, il graduale e lento crescere delle piante di pomodoro. E rimarca il tempo. E la cura. El miracle del Sol (Il miracolo del Sole, 2023) è la videoinstallazione, accompagnata dalla composizione sonora di teresa w., con la quale Albert Gironès vuole tradurre l’intraducibile: l’aspetto miracoloso, in questo caso del sole, nel tentativo di rendere visibile l’invisibile, troppo collegato alla sensibilità retinica (e spirituale) di ogni individuo.
La massiccia manipolazione dell’ambiente da parte dell’uomo, esclusivamente attento al proprio benessere, è brillantemente denunciata da Marta R Chust e Roc Domingo Puig, col video PEDRA I PLÀSTIC CAP 1: Silenci! els deus estan aquí (PIETRA E PLASTICA CAPITOLO 1: Silenzio! gli dèi sono qui, 2022). Oltre a denunciare il progressivo depauperamento del territorio, mediante l’installazione della fibra ottica, come delle antenne di telecomunicazione che, una fisarmonica diatonica suonata da Maria Giró, ne interpreta il relativo suono. Notifica, altresì, l’inarrestabile progresso tecnologico che attraversa l’intero emisfero. Che, senza una vera sensibile visione globale, porta a quelle estreme conseguenze metereologiche, sotto gli occhi di tutti.
La mostra La forma solida del paesaggio sarà visitabile da AlbumArte, a Roma, fino al 9 novembre 2024.
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