Martín Fernández (San Juan, Argentina, 1989) è un artista che ha conseguito nel 2015 una laurea in Arti visive presso l’Università Nazionale delle Arti di Buenos Aires e nel 2016 ha partecipato al “Programma Artisti” presso l’Universidad Torcuato Di Tella. Nel 2022 ha vinto il premio UADE de Artes Visuales e nel 2023 il premio OSDE a las Arte Visuales. Negli ultimi anni ha presentato due mostre personali: Agua Negra al Franklin Rawson Museum di San Juan (2021) e Alucinación presso la Galleria Constitución di Buenos Aires (2022) di cui è co-direttore insieme ad Antonio Villa.
Nella mostra Trama alla Galleria Gilda Lavia l’artista presenta disegni di grafite su carta e alcune tele la cui consistenza ci ricorda quella del velluto, realizzate con la tecnica del marouflage usata per fissare una superficie leggera (carta o tela) su di un supporto più rigido attraverso una colla resistente detta di maroufle.
Alcune opere di Fernández propongono delle composizioni che di primo acchito sembrerebbero disegni per scenografie, se non che a una disamina ravvicinata emerge lo snodo irrazionale di un tessuto geometrico all’interno del quale talvolta si riconoscono elementi architettonici. I suoi lavori consistono in immagini che si collocano tra il figurativo e l’astratto. Arcate, piani pavimentali, strutture articolate con gradini, tutto è governato dall’assenza di un sistema prospettico coerente dove i singoli elementi componenti la raffigurazione, perdendo la propria identità specifica e funzionale, sono risucchiati in un meandro irrazionale, in un percorso labirintico. Questa la cifra tematica che accomuna diversi lavori dell’artista dove lo snodo illogico di scenografie irrazionali si arricchisce talvolta di elementi naturali come quelli che sembrerebbero essere dinamici percorsi d’acqua che si incuneano in spazi delimitati da dighe fatte di pure linee geometriche.
«Ritmi monocromatici e scariche materiche – scrive il curatore Antonio Villa – generano superfici lucenti, opacità profonde, miraggi. Grafiche quasi mantriche e forme indeterminate si nascondono o si rivelano a seconda della luce e dell’angolazione dello sguardo. Fernández considera queste composizioni morbide, agili e multiformi, come paesaggi».
Si tratta sostanzialmente di un universo dominato dal caos, dal casuale nesso tra i diversi elementi componenti le raffigurazioni che diventano proiezione di uno stato interiore in cui domina l’irrazionalità. E pur all’interno di un universo artistico accomunato da criteri compositivi comuni, ogni opera ha una sua cifra iconografica distintiva che la caratterizza. Si scopre talvolta la traccia di un antico pavimento marmoreo a disegni geometrici o si scorgono suggestive composizioni geometrizzanti di sapore neo-futurista. E se i lavori di Fernández possono ricordare opere di Maurits Cornelis Escher dove sono architetture reali a subire una irreale moltiplicazione di prospettive in un intersecarsi surreale, se ne discostano per un approccio che deliberatamente si allontana dal dato concreto per creare un intricato tessuto labirintico di matrice astrattizzante, in cui i singoli elementi spesso non sono più distinguibili all’interno di un magma visivo in continuo divenire.
Josefina Alen (Buenos Aires, 1993) si avvicina alla pratica della pittura nel laboratorio dell’artista Sergio Bazàn a Buenos Aires portando avanti parallelamente studi sul design presso l’Università della capitale dell’Argentina (UBA). Nel 2018 ha co-creato “Mientras las Olas”, un cortometraggio che ha vinto il premio “Miglior cortometraggio nel concorso argentino” al “33° Festival Internazionale del Cinema di Mar del Plata”. Nello stesso anno l’artista è stata selezionata nel “Programma Artisti 2018” dell’Universidad Torcuato Di Tella di Buenos Aires e nel “Concorso di arti visive 2018” del Fondo Nazionale per le arti. Presso la Galleria Consitución di Buenos Aires, co-diretta da Martín Fernández, ha presentato due mostre personali: Chupin nel 2019 e OLFA nel 2021, anno in cui è stata anche selezionata per la Settimana delle Arti, organizzata dal Ministero della Cultura del Gobierno de la Ciudad Autónoma de Buenos Aires (GCBA).
Josefina Alen realizza i suoi lavori con l’acrilico su supporti di cartapesta e carta di giornale. Nella mostra ¡Qué pena! alla Galleria Gilda Lavia l’artista presenta una nuova serie di pitture legate al tema della memoria e anche, evidentemente, a una condizione nostalgica. Attraverso i ricordi ingrandisce, deforma e ricolloca oggetti di uso quotidiano, spesso ispirati a un immaginario pop degli anni ’90. In diversi lavori il leit motif è il cuore presentato secondo numerose declinazioni iconografiche nelle quali l’organo vitale umano, nella sua convenzionale forma stilizzata, viene affiancato ad altri elementi che ne qualificano la specifica accezione, di segno generalmente drammatico. La moderna ricerca poetica dell’artista argentina rievoca l’antico pensiero del cardiocentrismo, sostenuto dalla corrente filosofica di cui Aristotele faceva parte, secondo il quale il cuore era considerato sede dell’anima umana.
Nella sperimentazione formale di Josefina Alen che può, per alcuni versi, ricordare quella dell’artista romano di origine ceche Mojmir Ježek – noto anche per aver illustrato per un trentennio la rubrica “Questioni di cuore” di Natalia Aspesi sul Venerdì di Repubblica – il cuore è utilizzato come medium per esplicitare una situazione interiore sempre fortemente segnata da stati d’animo angosciosi ai quali si associa una condizione di profondo rimpianto, forse per un passato felice ormai trascorso, a cui il titolo della mostra ¡Qué pena! (Che peccato!) sembrerebbe voler alludere. In Corset (2024) la matrice drammatica è chiaramente evocata dalla superficie a patchwork del cuore puntellata da chiodi o dalla struttura tridimensionale dell’organo verticalmente aperta a simulare, nell’evocazione dell’immagine di un corsetto femminile, una violenta frattura che un nastro inserito in apposite asole tenta invano di ricucire.
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