A Firenze la Fondazione Palazzo Strozzi, in collaborazione con la Helen Frankenthaler Foundation, presenta la mostra Helen Frankenthaler. Dipingere senza regole. La retrospettiva indaga il lavoro di Helen Frankenthaler (1928-2011), ponendolo in relazione con le opere di artisti della sua generazione che ne hanno influenzato e arricchito il percorso creativo, da Anthony Caro a Morris Louis, passando per Robert Motherwell fino a Jackson Pollock e Marc Rothko. Con un’ampia selezione di opere realizzate tra il 1953 e il 2002, e prestiti dai più celebri musei internazionali, Metropolitan Museum of Art di New York e la Tate Modern di Londra, Palazzo Strozzi propone la più completa rassegna sul lavoro di Frankenthaler finora realizzata in Italia.
Il percorso espositivo, organizzato cronologicamente dagli anni 50’ agli anni ’90, offre al visitatore un’ampia panoramica della sua evoluzione artistica, insieme ad un ricco spaccato sulla vita privata, le amicizie e le influenze artistiche che ne hanno segnato la carriera: «La dedizione di Helen Frankenthaler alla pittura è stata arricchita dalle sue amicizie con gli artisti, alcuni dei quali sono diventati parte della sua famiglia allargata» sottolinea il curatore Douglas Dreishpoon. «La cerchia di Frankenthaler ha rappresentato un ecosistema di forze creative in continuo movimento: osservare il loro lavoro in stretta connessione ci consente di comprendere meglio le innovazioni di Frankenthaler stessa».
Figura di spicco della seconda generazione di pittori astratti americani del dopoguerra, ma ancora poco conosciuta dal grande pubblico, Frankenthaler (1928-2011) ha rappresentato una transizione cruciale dall’Espressionismo astratto al Color Field Painting. Nata a New York, compie i suoi studi artistici con Paul Feeley al Bennington College, prima di tornare a Manhattan, dove si avvicina all’arte astratta. All’inizio degli anni Cinquanta entra in contatto con gli esponenti della Scuola di New York, sviluppando rapporti di amicizia e di lavoro, trovandosi circondata da artisti che condividono con lei un forte impegno nella sperimentazione. Nel 1951 al Ninth Street Show, la pittrice ventitreenne espone accanto a Clement Greenberg, Elaine e Willem de Kooning, Joan Mitchell, Lee Krasner, Jackson Pollock, Robert Motherwell, Hans Hofmann, Ad Reinhardt e Robert Rauschenberg.
È con Mountains and Sea (1951) che Frankenthaler inaugura la sua tecnica innovativa del soak-stain (imbibizione a macchia, metodo che consiste nell’applicare colori diluiti direttamente su una tela non preparata, distesa orizzontalmente) sviluppata in seguito a un incontro fondamentale con il dipinto Number 14 di Jackson Pollock che vide alla Betty Parsons Gallery. Il lavoro influenzò profondamente la giovane artista, che ebbe l’opportunità di visitare lo studio-fienile di Pollock a Long Island, osservandolo mentre dipingeva. L’approccio di Pollock all’astrazione, nato dal disegno spontaneo, ispirò Frankenthaler a esplorare la sua creatività attraverso segni pittorici, simboli e “scene” evocative che, pur restando ambigue, preservavano una dimensione narrativa e misteriosa. Pollock le mostrò come la pittura potesse essere un processo intuitivo e guidato dal disegno.
Mountains and Sea ridefinisce l’idea dell’Abstract Expressionism, spingendolo verso i nuovi orizzonti del Color Field Painting e, in prospettiva, verso la Lyrical Abstraction, aprendo così un nuovo capitolo nella pittura astratta americana: «Ho dovuto sviluppare la mia tecnica, ma penso che la tecnica determini l’estetica tanto quanto l’estetica di una persona determini un nuovo mezzo. Il fare, il controllare e la sorpresa che ne deriva è un gesto che faccio al meglio sentendo che i bordi possono espandersi e che posso manipolare la vernice e i lati in relazione ad alto, basso, disegno, colatura, macchiatura, colorazione, con molta più libertà e meno limiti».
A partire dagli anni Sessanta è Rothko a condurre Frankenthaler verso un’attenzione particolare alle figure geometriche disegnate attraverso il colore, esempio tra tutti il dipinto Cape (Provincetown) del 1964. Oltre a riferimento artistico, Rothko divenne anche un caro amico dell’artista e del marito Robert Motherwell. Il suo Untitled del 1949 era stato infatti donato dall’artista alla coppia, che lo aveva collocato in casa accanto alla scultura di David Smith Portrait of the Eagle’s Keeper, anch’essa in mostra.
Proprio con David Smith, amico intimo, Frankenthaler condivideva una convinzione quando si trattava di fare arte: «Nessuna regola!», che significava non dare mai per scontato come la tua arte venisse creata, quali materiali fossero utilizzati o quale aspetto avrebbero potuto avere i risultati. Il dipinto a soak-stain TuttiFrutti (1966) di Frankenthaler trova un analogo tridimensionale nella scultura in acciaio dipinto di Smith Untitled (1964), composta da forme geometriche impilate l’una sull’altra ed appoggiata su quattro piccole ruote.
L’approccio alla scultura di Frankenthaler trova in mostra uno spazio interessante: l’artista, che nutriva una profonda ammirazione per Caro, David Smith e Anne Truitt, si dedicò al tridimensionale durante una residenza di due settimane nello studio di Caro. Matisse Table è una delle dieci sculture che realizzò nel 1972 nello studio londinese dell’amico. Affrontando la scultura con lo stesso approccio intuitivo che caratterizzava la sua pittura, nell’opera Frankenthaler combina superfici inclinate, forme a ventaglio e elementi di natura morta, richiamando il dipinto L’ananas (1948) di Henri Matisse, ma reinterpretandolo in una chiave completamente nuova.
Tanto i lavori su carta quanto le grandi tele esposte a Palazzo Strozzi testimoniano l’equilibrio raggiunto da Helen Frankenthaler tra controllo formale e libertà espressiva. Unica nota stridente l’impostazione dell’allestimento che, con l’utilizzo di pannelli espositivi che incorniciano le opere, appesantisce e soffoca la leggerezza e l’immediatezza del gesto di Frankenthaler. Attenuando la vitalità visiva e l’energia dei dipinti e sacrificando la natura poliedrica del suo lavoro, ricca di sfumature e molteplici aspetti, viene meno la complessità della sua identità artistica, ridotta ad un’unica dimensione.
La mostra, visitabile fino al 26 gennaio, rappresenta comunque un’occasione preziosa per esplorare l’evoluzione del lavoro di Frankenthaler e apprezzarne la straordinaria varietà, grazie a un percorso che attraversa decenni e che evidenzia le sinergie e le affinità con altri grandi nomi del secondo Novecento.
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