Vortici, onde, increspature e riflessi: questi sono solo alcuni dei vocaboli più usati da Serse (1952, San Polo di Piave) per raccontare il mare, soggetto a lui molto caro sin dagli esordi della sua carriera. Ed è infatti l’acqua la protagonista della mostra a lui dedicata intitolata “Qui tutto è aperto. Fogli d’acqua”, visitabile fino al 13 settembre nella nuova sede capitolina di Galleria Continua. In esposizione oltre dieci opere che ancora una volta dimostrano la straordinaria abilità creativa dell’artista, ormai di casa a Trieste. Se a un primo sguardo potrebbero sembrare fotografie, in realtà, a ben vedere, si tratta di disegni a matita su carta che riproducono la realtà in modo molto verosimile. Tuttavia, lasciamo che sia lo stesso Serse a spiegarci di più in proposito…
«Tempo fa inciampai su una frase del poeta William Butler Yeats: «La scienza dopo essere stata perseguitata e derisa si è conquistata il diritto di esplorare tutto ciò che passa davanti al suo occhio corporeo, e tutto ciò per il sol fatto che gli passa innanzi». La letteratura, così come l’arte, esige lo stesso diritto: esplorare tutto ciò che passa davanti all’occhio della mente.
Molti spregiudicati artisti del nostro tempo hanno preso troppo alla lettera questo pensiero, l’invenzione artistica è diventata sperimentale, hanno trasferito dal laboratorio dello scienziato la parola “esperimento” allo studio dell’artista, convinti di mimarne i procedimenti; così oggi li vediamo muoversi nei loro atelier, intenti a eseguire opere controllate e ad altissima densità teorica e scientifica.
Nonostante la mia formazione sia di impianto scientifico, io rifuggo da questa illusione, poiché credo che l’arte sia essenzialmente un esercizio dell’immaginazione che si presenta sotto forma di finzione estetica: solo con l’agire dell’immaginazione lasciamo sponde sicure per navigare in alto mare. Preferisco la visione di Sol LeWitt, il quale, nelle sue sentenze sull’arte concettuale, affermava: «Gli artisti concettuali sono mistici piuttosto che razionalisti. Arrivano a conclusioni cui la logica non può arrivare». A conclusione, se è vero che la tecnica è l’essenza stessa dell’arte, allora la scelta dei materiali per eseguire le mie opere hanno un riferimento diretto con quello che Lei ha chiamato “approccio scientifico”».
«Credo che la fotografia sia “l’oggetto specifico”, mentre il disegno – o l’opera d’arte in generale – sia il sogno visivo della cosa stessa. Spesso ripeto a me stesso la frase di John Ruskin: «Nessuna forma è nitida, ma nessuna forma resta ignota». La fotografia ha lo svantaggio, rispetto all’arte, di discriminare la forma degli oggetti, possiede la presa diretta del mondo e l’illusione delle tre dimensioni, la sento come una terribile trappola per catturarti e avvilirti nei fanghi della mimesi. Da tempo, quindi, mi sono congedato dalle lusinghe della fotografia».
«La pittura è il grande metodo per cogliere i mutamenti e le evoluzioni dell’universo, mentre il destino del pittore è quello di cogliere e fissare i flussi vitali che attraversano le forme della natura. L’artista ha gli strumenti mentali per percepire sia i luoghi del visibile, sia i luoghi dell’invisibile. Il visibile e l’invisibile, il nascosto e il manifesto, non appartengono a due piani distinti, ma sono due elementi compresenti e correlati tra loro, come il dritto e il rovescio di uno stesso piano. Solo un sottile e impalpabile velo li separa. Disegnare il velo dell’acqua vuol dire disvelare le due facce della stessa realtà e ricondurle al loro reciproco completamento.
Sono attratto dalla sublimità della natura, dalla smisuratezza che la contraddistingue e che ci attraversa lasciando in noi il segno indelebile della sua grandezza. Il punto di vista che vado a cercare per rappresentare il sublime della Natura, non si trova più nell’eredità rinascimentale della “fenestra aperta”, come l’intendeva Leon Battista Alberti (il quadrato sul quale veniva minuziosamente trascritto il mondo in tutta la pluralità), ma nel gesto metaforico di “strapparsi le palpebre” così da abbracciare la visione del mondo in tutta la sua ampiezza. La rappresentazione, pertanto, passa inesorabilmente attraverso uno stato di “preventiva cecità.” Non si tratta, quindi, di descrivere un esterno, ma un interno, un “paesaggio dell’anima”. Va da sé che, con queste premesse, l’acqua è solo la rappresentazione di quella “immensità interiore”, tanto cara alla mia poetica romantica. Nessuna barriera, nessuna chiusura di sipario può impedire la percezione interiore che si raggiunge attraverso la capacità immaginativa dell’anima. Il titolo della mostra “Qui tutto è aperto” non significa altro che la presa d’atto di questo stato di fatto».
«Nonostante sia nato in Veneto, vivo e lavoro da tanti anni a Trieste. Qui la vista è obbligata a posarsi là sul mare dove tramonta il sole, così la contemplazione dell’orizzonte ti infonde nell’animo una malinconia e un’impazienza di disperata attesa verso la fuga. Tuttavia, la compiutezza delle idee, la perfezione del pensiero razionale, quello del creare e del costruire, va inscritto a Oriente, alla Grecia, alla quale io purtroppo volto le spalle. Piuttosto, le mie visite romane mi riportano alla grandezza del costruire, quella grandezza che i Romani acquisirono dal grande architetto Eupalinos, che era di Megara e che prediceva agli ammassi informi di pietre e travi il loro futuro monumentale. Le rovine non mi parlano solo di perfezione e bellezza, in esse trovo tutte le tracce delle grandi visioni degli architetti, le loro meditazioni notturne: tutte queste suggestioni mi impediscono di partire, di seguire il destino dei popoli migranti, che è stato il destino di Ulisse».
«In questi ultimi anni dove tutto è un fagocitare bulimico di immagini, mi pare che i giovani artisti vivano uno stato permanente di stallo; le loro opere sono spesso il risultato di una forzata compressione di icone e sovrapposizione di fotogrammi. Spiccano alcune forti personalità, ma la gran parte sono dell’Est Europa, della Germania o delle Fiandre. Grandissimi artisti sono i giovani pittori cubani a noi conosciuti grazie alla Galleria Continua.
Il mio interesse tra gli italiani va alla giovanissima pittrice Marta Spagnoli di Verona, ma veneziana d’adozione. Un’artista che ha coscienza del suo lavoro e consapevolezza del contemporaneo, in cui si intravedono però anche le tracce della grande pittura veneziana del ‘700, oltre ad una capacità di disegno eccezionale e la forza di un Vedova. Un raro esempio di come oggi la pittura possa ancora scuotere».
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