Gabriele Gino Fazio assume, come pretesto metaforico, lo stato in cui il lepidottero sospende le proprie attività vitali per avviarsi verso lo “stato ninfale” e alla formazione della crisalide per indagare, nel mentre della sua mostra nell’artist run space palermitano )(, le dinamiche dei fenomeni sociali.
Scrive il curatore Mario Bronzino: « Qui, fotografate in un ammasso informe in cui si sovrappongono nell’ultima attività gregaria della loro vita – alla quale non faranno più ritorno da adulte – le crisalidi di Fazio, innaturali nelle dimensioni e nelle forme, appaiono fragili, instabili, inabitate da qualsiasi forma vivente; un sinonimo dell’incompletezza individuale, un vuoto non soltanto interiore, psicologico e ricollegabile a quello spaesamento causa della variazione psico-fisica e sociale, bensì un vuoto di tipo contenutistico – conseguenza dell’ormai avviata alienazione – riferito ad ogni individuo al quale viene suggerita una riflessione sulla propria collocazione nella società e sulla propria consapevolezza».
Partendo da metafore di impronta biologica e avvalendosi tridimensionalmente di un ricco vocabolario simbolico dell’arte cristiana, Gabriele Gino Fazio accede a significati che agiscono sul piano sociale, riferendosi al passaggio involontario e automatico dall’età infantile all’età adulta.
Una texture che ricalca il fenomeno folkloristicamente rinominato “re dei ratti” riveste le pareti dello spazio: centinai di ratti invadono i muri, dentro ai quali sono rimasti prigionieri nel tempo, rimanendo intrappolati nella matassa dell’annodamento delle loro lunghe code.
Siamo forse in pericolo? È uno stato d’agguato? Avvicinandosi e addentrandosi è chiaro l’intento di Fazio di alludere al fenomeno sociale della costrizione a doversi adattare ad un gruppo in cui ci si inserisce quasi senza volontà, dove vigono regole e consuetudini su misura, adeguando comportamenti e pensieri per la conformità all’equilibrio dell’insieme.
Al centro invece, le crisalidi di Fazio si presentano, secondo un’estetica scultorea, innaturali nelle dimensioni e nelle forme. Fragili, instabili e inabitate, esse sono sinonimo dell’incompletezza individuale, di un vuoto non soltanto interiore e psicologico, bensì un vuoto di tipo contenutistico, provocato dall’alienazione e riferito a ogni individuo al quale viene suggerita una riflessione sulla propria collocazione nella società e sulla propria consapevolezza.
«Credo fermamente che la fame di tenerezza sia una necessità che ogni individuo cerca di saziare quando si addentra in un gruppo, tramite meccanismi più o meno sani e consapevoli. Indagare questi echi di individualità all’interno del flusso del gruppo, significa porre l’attenzione su parti spesso lese della rete sociale e tentare di comprenderne la causa di tali ferite», ha dichiarato l’artista che, appropriandosi della morte per metterla in scena in un cumulo di corpi vuoti e dalle dimensioni surreali, ragiona su cambiamenti e crisi individuali.
Accogliendo e raccogliendo l’invito di Fazio, fino al 13 giugno sarà possibile avvicinarsi, delicatamente, a questo disturbante impianto installativo carico di simbolismo e sospensione.
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