La mostra Re/Presentation dell’artista e ricercatore Emilio Vavarella fino al 18 marzo trasforma gli spazi di Gallleriapiù a Bologna in uno showroom di concetto dove presentare un progetto sul ritratto contemporaneo. Sviluppata con la collaborazione di Giada Pellicari e il contributo di Gabriele Colia, la personale esprime una scelta curatoriale che raccoglie e presenta i primi esiti di un lavoro in divenire piuttosto che orientarsi alla esposizione del risultato.
Il progetto The Other Shapes of You si inserisce nel presente scenario di massificato impiego del ritratto e autoritratto fotografici e propone strategie sperimentali capaci di trovare nel genere nuovi potenziali artistici e concettuali. Le opere sono una serie di ritratti realizzati su commissione e frutto della elaborazione del codice genetico dei committenti secondo un processo di realizzazione consistente in tre fasi. Il committente consegna una fialetta con un campione della sua saliva che viene inviata a un laboratorio abilitato alla genotipizzazione per il sequenziamento del codice genetico. Il genoma nella forma di un lunghissimo file di testo viene poi acquisito da Emilio Vavarella che, per mezzo di un software da lui ideato in collaborazione con un team di programmatori, comprime e traduce i dati in immagini. Le opere uniche nate da questo processo possono assumere infinite combinazioni di pattern e colori, alcune delle quali sono consultabili presso Gallleriapiù in un libro d’artista. I colori possono essere concordati con il committente prima che la stampa venga fusa ad alta temperatura con una lastra ultrasottile di metallo lucido.
Secondo la co-curatrice Giada Pellicari, «dal punto di vista visivo, il rispecchiamento genetico prende la forma di un lavoro sintetico, ponendoci di fronte a un nuovo esempio di astrattismo geometrico nato dall’uso di un software». I ritratti non restituiscono la figura del soggetto e contemporaneamente sono espressione delle sue caratteristiche identitarie. Durante una conversazione con Vavarella, egli stesso ha illustrato e approfondito i contenuti e i significati della sua opera descrivendola come una rappresentazione senza verosimiglianza che intende sperimentare nuovi modelli espressivi giocando con una doppia negazione. Negazione in quanto l’individuo viene dato nella sua completezza attraverso il corredo genetico ma senza restituire – e quindi negando – la sua forma esteriore. In secondo luogo come negazione della promessa fatta al committente – forse un gioco ontologico – in quanto nel momento in cui il soggetto viene esposto in tutta la intima verità esso scompare.
Il titolo della mostra Re/Presentation e i significati delle due parti che lo compongono – rappresentazione e presentazione – delineano un ampio contesto di riferimenti che rinvia alla tradizione del ritratto e allo stesso tempo racchiude la deviazione compiuta da The Other Shapes of You. Vavarella afferma che presentazione e rappresentazione sono due termini attorno ai quali ruotano varie interpretazioni che lui stesso non ha voluto fissare in modo da giocare con la loro ambiguità: una ulteriore dimensione della stratificazione ludica di piani semantici. La parola rappresentazione si lega intimamente alla tradizione delle arti visive. Il ritratto viene appunto definito come pittura, scultura o fotografia che rappresenta la figura di un soggetto. Con il termine figura inoltre ci riferiamo agli aspetti esteriori del soggetto rappresentato che, nel caso del ritratto, coincidono con i tratti fisiognomici a cui si possono aggiungere scelte espressive atte a restituire anche gli aspetti psicologico-emotivi. Se si guarda ai lavori di Vavarella la situazione risulta decisamente diversa in quanto essi «negano la rappresentazione». In questo senso la parola presentazione ha un significato forse più vicino: «Vavarella nega la rappresentazione e contemporaneamente ne presenta il suo contenuto più intimo e importante». Sia la rappresentazione sia la presentazione sono forme di mediazione ma, come evidenzia l’artista, la prima implica il riconoscimento mentre la seconda offre l’oggetto in quanto tale. Egli porta come esempio esplicativo i sistemi di chirurgia robotica in cui viene presentata al chirurgo operante un’immagine del corpo che è interfaccia e quindi avvicinamento tra l’oggetto osservato e il suo pubblico.
Sulla presentazione del codice genetico del committente agiscono però variabili che esprimono i possibili caratteri manifesti del soggetto traducendoli in opera artistica. In questo modo alla presentazione si sommano elementi interpretativi. Si potrebbe affermare che il lavoro compiuto dal software simula il processo biochimico di codifica del codice genetico che si esprime nel fenotipo mostrando le caratteristiche del soggetto. Rispondendo con una ulteriore metafora legata alla biologia, Vavarella spiega che una possibile interpretazione del lavoro riflette la distinzione tra genetica ed epigenetica. L’epigenetica adotta una prospettiva che tiene in considerazione anche i fattori esterni e come essi influiscono sul codice genetico, dimostrando che siamo il risultato di una mediazione tra codice e ambiente. Allo stesso modo, le sue opere sono il risultato di una mediazione tra il codice genetico e il mondo esterno, composto in questo caso da software, da tecniche, da formalizzazione, da materiali e dalle scelte espositive delle mostre. Un elemento unico come il codice genetico contiene virtualmente infinite manifestazioni.
La ricerca di Emilio Vavarella – vincitore di exibart Prize 2020 – sulle possibili forme manifeste del codice comincia con The Other Shapes of Me. La prima opera della serie, rs548049170_1_69869_TT (The Other Shapes of Me), titolo estratto dalla prima riga di testo risultante dalla genotipizzazione del DNA dell’autore, fu il progetto vincitore della 6. Edizione di Italian Council, in mostra nel 2020 a Gallleriapiù e ora parte della collezione permanente del MAMBo – Museo d’Arte Moderna di Bologna. Il progetto si incentra sull’autoritratto e consiste in una grande video installazione basata sulla conversione del codice genetico di Vavarella in un tessuto realizzato dalla madre al telaio; un’opera articolata e complessa costituita dal macchinario ottocentesco Jacquard modificato per ospitare Genesis (The Other Shapes of Me), il video che mostra il processo produttivo del tessuto. Vavarella descrive il lavoro come la creazione di un suo clone intessuto da sua madre, frammento della sua identità. Successivamente, racconta l’artista, ha cominciato a pensare a come esplorare ulteriori e più flessibili tecniche tessili per mediare il suo codice in una pluralità di materiali e colori.
Prima di rivolgersi ad altri soggetti umani e convertire i codici genetici in immagine e non in tessuto, Vavarella incentra la sua attenzione su codici genetici non umani. The Other Shapes of Things, svolto su commissione della Fondazione Zegna, è un progetto composto da sei opere prodotte a partire da un unico codice genetico dei milioni di abeti rossi piantumati per propagazione genetica su volere di Ermenegildo Zegna, da cui l’artista, in collaborazione con differenti operatori, ha tratto molteplici opere intessute.
Ci sono delle idee che tornano e stanno alla base della sua ricerca artistica e teorica, riferisce Vavarella. Dal punto di vista formale, trova interessante la natura multiforme e fluida del codice: codice come saliva, come codice binario, come tessuto, come immagine. Un’assidua ricerca di tutte le forme dell’esistente che egli assume, con un sorriso sommesso, come un desiderio, una spinta a contenere, ad assorbire e a collegare. La conversione e riconversione si esprime in infinite varianti di produzione artistica, nelle quali non si perde l’unicità o l’originalità dettata dal codice. Dal punto di vista concettuale queste opere, continua l’artista, sono parte di una riflessione sul modo in cui le tecnologie modificano la comprensione di noi stessi. Pensiero che si lega al suo progetto di ricerca alla Harvard University (Stati Uniti): un ragionamento interdisciplinare sulla storia della tecnica e su come essa cambi il modo di guardarci. Al momento Emilio Vavarella sta lavorando a un progetto ambizioso, in collaborazione con programmatori e scienziati, in una residenza di artista di un paio d’anni al Broad Institute (Stati Uniti). Ne emergerà un nuovo capitolo di questa ricerca.
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