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Re:Humanism Art Prize: la mostra della seconda edizione, Spazio Corner MAXXI
Mostre
di redazione
In particolare l’edizione quest’anno ha indagato «le trasformazioni dei concetti di Corpo e Identità nell’era dell’Intelligenza Artificiale e le implicazioni politiche che ne conseguono, le nuove modalità di produzione della conoscenza e i cambiamenti introdotti dalla robotica e dal machine learning, la definizione di un approccio antropologico all’IA e le visioni sul futuro del nostro Pianeta. Questi i temi al centro di questa seconda edizione di Re:Humanism che gli artisti hanno interpretato seguendo molteplici traiettorie e concentrandosi su una serie di elementi in grado di creare una nuova visione dello sviluppo tecnologico human-centred», ha proseguito l’Associazione Re:Humanism.
La giuria del premio era composta da curatori d’arte e esperti di tecnologie avanzate: Alfredo Adamo, CEO di Alan Advantage; le curatrici, storiche e critiche d’arte Daniela Cotimbo, Federica Patti e Ilaria Gianni; il curatore e storico dell’arte Valentino Catricalà, l’artista Lorem, Michael Mondria, managing director a Ars Electronica, il ricercatore Mauro Martino, fondatore e direttore del Visual Artificial Intelligence Lab all’IBM Research e Trond Wuellner, Product Director di Google.
Intervista a Daniela Cotimbo, Presidente dell’associazione Re:Humanism
Può indicarci alcuni tra i principali aspetti del rapporto tra arte contemporanea e Intelligenza Artificiale indagati attraverso le due edizioni del premio Re:Humanism?
«La prima edizione nasceva nel 2018 in un contesto molto particolare, l’intelligenza artificiale dall’essere materiale per sceneggiature di film e romanzi di fantascienza, diventava qualcosa di molto più concreto e presente nelle nostre vite, nelle nostre case, nei nostri smartphone. Sempre in quell’anno cominciavano a diffondersi le linee guida etiche da parte di molte istituzioni governative volte ad arginare i pericoli che queste tecnologie comportano in termini di discriminazioni, violazioni della privacy, polarizzazione del consenso politico e non solo. Gli artisti contemporanei, spesso pionieri nell’esplorazione delle nuove tecnologie, cominciavano in quel periodo a prendere coscienza del fatto che non si sarebbe tornati indietro e che la portata inarrestabile dell’IA stava modificando profondamente il modo di concepire esperienze propriamente umane. La prima edizione è stata quindi guidata dalla necessità di interrogarsi su come il confine-uomo macchina diventasse sempre più sottile e su quali fossero le implicazioni etiche, sociali e politiche di questo radicale cambiamento. La seconda prende vita due anni dopo, con una differente maturità ma soprattutto in un contesto molto particolare come quello della pandemia. Curiosamente nonostante la difficoltà del momento attuale, la visione degli artisti risulta profondamente propositiva. Tutti i progetti selezionati condividono la consapevolezza che il progresso tecnico scientifico non può essere arrestato e che è necessaria una profonda decolonizzazione dello sguardo, volta a riappropriarsi di questi strumenti al fine di allargare i nostri orizzonti conoscitivi. Attraverso l’IA in particolare gli artisti si interrogano su come rinegoziare concetti come corpo, identità, vita biologica e artificiale, nonché sulle relazioni tra specie viventi e materia inorganica. Il risultato è uno sguardo speculativo sul futuro che tanto ci racconta anche del presente».
Il tema di quest’anno è “Corpo e Identità nell’era dell’Intelligenza Artificiale”, che varietà di lettura si possono rintracciare tra le opere vincitrici?
«Questo è uno dei cinque focus di questa seconda edizione ma sicuramente è quello che trasversalmente attraversa quasi tutti i progetti. Lo ritroviamo ad esempio nell’opera di Johanna Bruckner, Molecular Sex, dove proprio il corpo si scompone e ricompone in una serie di forme diverse, inglobando sessualità ibride e multispecie. Il corpo è protagonista anche del progetto di Elizabeth Christoforetti e Romy El Sayah intitolato emblematicamente Body as Building, nel tentativo di rifondare la relazione tra individuo, collettività e urbanistica. Anche nel lavoro di Carola Bonfili, The Flute-Singing il corpo abitato da una creatura ibrida, ci invita a riflettere su come le sensazioni propriamente umane siano in grado di abitare i mondi virtuali. Ancora, nel lavoro del collettivo Umanesimo Artificiale, l’intelligenza artificiale ci permette di manifestare gli aspetti più intimi del corpo come quelli legati al DNA e alle sue mutazioni. Infine, nell’opera di Yuguang Zhang, (Non-)Human: The Moving Bedsheet, le proprietà fisiche del corpo come i suoi movimenti inconsapevoli nel sonno vengono trasmessi ad un oggetto inanimato come il letto, che tanto invece dimostra di conoscere con il corpo stesso che normalmente lo abita».
Come è articolato il percorso espositivo?
«Nonostante i dieci progetti siano molto diversi tra loro abbiamo cercato di inglobarli in uno spazio il più organico possibile, in cui è possibile passare facilmente da un orizzonte all’altro senza per forza essere costretti a suddividere per categorie e aree tematiche, anche perché come accennavo, spesso i temi si sovrappongono tra di loro. Lo spettatore che si aspetta di assistere ad una mostra dalla forte connotazione tecnologica, resterà sorpreso nel vedere come spesso essa sia celata dietro opere dalla forte presenza fisica e oggettuale. Questo succede perché la mostra si interroga principalmente sul concetto di interfaccia tecnologica. Spesso immaginiamo l’intelligenza artificiale come un agglomerato di cavi, righe di codice e chip al silicio ma la sua pervasività fa sì che essa ormai si manifesti anche attraverso forme non direttamente riconoscibili, per cui ci si può trovare di fronte ad un arazzo prodotto in India, come nel caso dell’opera di Irene Fenara, Three Thousand Tigers, o ad una pubblicazione editoriale come nel caso di Epitaphs for the Human Artist, dei Numero Cromatico».
Lei è curatrice della mostra e presidente dell’associazione Re:Humanism, può raccontarci qual è la mission dell’associazione e come opera?
«Quando siamo partiti nel 2018, Re:Humanism era un progetto promosso da un’azienda romana, la Alan Advantage, concretizzatosi in un art prize. Le cose poi sono cambiate, si sono evolute tanto da spingerci a fondare l’Associazione Culturale con lo scopo di dar vita a tante iniziative nell’ambito. L’obiettivo finale è sempre quello di generare consapevolezza sui temi inerenti allo sviluppo di tali tecnologie ma anche di scoprire come il mondo cambia e come cambiamo noi al contempo. Cuore di questa esplorazione rimane l’attività degli artisti che si manifesterà non solo con l’art prize. Stiamo infatti lavorando ad altri progetti espositivi e di divulgazione che coinvolgono oltre diverse professionalità, ne è una testimonianza anche il programma di talk che accompagna questa seconda edizione».
Quali altri progetti avete in corso?
«L’idea è quella di trasformare l’art prize in un’iniziativa permanente, che favorisca gli scambi e la ricerca e che magari abbia una sua sede fisica, ma non posso dire di più». (SC)