Prima che il mondo dell’arte (e non solo quello) si fermasse bruscamente per i due mesi di lockdown imposti dal governo, i riflettori, per qualche settimana, erano stati rivolti su Verona. Città dove si era compiuto un miracolo. O forse no: si trattava semplicemente di arte. Ma di qualità. Tale da far diventare la città di Romeo e Giulietta un autentico palcoscenico culturale di altissimo livello, alla pari di città più blasonate e in genere più prolifiche dal punto di vista espositivo. Eppure, dopo il successo di inizio 2020, superare Verona diventa difficile per chiunque; almeno per quanto riguarda il periodo compreso tra febbraio e marzo, fino all’interruzione forzata dovuta alla pandemia, quando si è celebrato un felicissimo connubio. Da un lato, la mostra – davvero ben riuscita – di Marco Goldin: “ Il tempo di Giacometti da Chagall a Kandinsky”, nel Palazzo della Gran Guardia. Proprio di fronte all’Arena: altro tempio della cultura, nonché patrimonio artistico locale e nazionale. Una mostra in grado di rievocare una delle più straordinarie avventure culturali in Europa dalla metà del secolo scorso in poi, per un approfondimento su alcune vicende che hanno segnato la storia dell’arte novecentesca. Dall’altro lato, l’apertura dello straordinario, nuovo e unico, centro museale cittadino di Palazzo Maffei: affacciato direttamente su Piazza delle Erbe e che custodisce un’affascinante Casa-Museo e un nuovo punto di riferimento per gli amanti dell’arte. Due eventi che, insieme, hanno contribuito al “miracolo”: per una perfetta combinazione andata in scena a partire dal fine settimana di “Verona in Love”, nel pieno dei festeggiamenti di San Valentino della città degli innamorati, quando ha aperto i battenti il Museo di Palazzo Maffei. In grado di offrire al visitatore un percorso espositivo dalla doppia anima, tra antico e moderno, con un percorso eclettico tra capolavori e curiosità che attraversano più di cinque secoli. Grazie al dialogo tra una raccolta d’arte di grande interesse, frutto di oltre cinquant’anni di passione collezionistica dell’imprenditore Luigi Carlon. Il tutto, nell’atmosfera suggestiva del Piano Nobile di uno dei più scenografici edifici seicenteschi di Verona.
La Casa-Museo di Palazzo Maffei (edificio tornato alla ribalta dopo i lavori di restauro) rappresenta un’iniziativa culturale promossa da Luigi Carlon, imprenditore e collezionista veronese, su progetto architettonico e allestimento a cura dello studio Baldessari e da un’idea museografica di Gabriella Belli, con contributi scientifici di Valerio Terraroli e Enrico Maria Guzzo. Con una proposta espositiva a dir poco sorprendente, fatta di oltre 350 opere, tra cui quasi 200 dipinti, una ventina di sculture, disegni e un’importante selezione di oggetti d’arte applicata (mobili d’epoca, vetri antichi, ceramiche rinascimentali e maioliche sei-settecentesche, ma anche argenti, avori, manufatti lignei, pezzi d’arte orientale, rari volumi) allestiti in XX sale, decorate con strucchi e affreschi. Nella prima parte del percorso espositivo, arricchito dagli affacci su Piazza delle Erbe, viene proposto un dialogo con gli ambienti del Piano Nobile del Palazzo, ricreando l’atmosfera di una dimora privata, con nuclei tematici d’arte antica in cui irrompe all’improvviso il dialogo con la modernità. Nella seconda parte, dedicata al Novecento e all’arte contemporanea, si è voluta invece creare una vera e propria galleria museale, in cui spiccano molti capolavori, si scorge la passione per il Futurismo e la Metafisica e s’incontrano alcuni dei massimi artisti del XX secolo: Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Gino Severini, ma anche Pablo Picasso e Georges Braque; Giorgio de Chirico, Felice Casorati e Giorgio Morandi accanto a René Magritte, Max Ernst, Marcel Duchamp. E ancora: Afro, Emilio Vedova, Lucio Fontana, Alberto Burri, Tancredi, Gino De Dominicis, Piero Manzoni, e molti altri. Dedicato anche ai palati più raffinati.
A dare slancio alla città di Verona per ben cinque mesi è stata però la grande mostra dedicata ad Alberto Giacometti e al suo tempo, che trova un completamento ideale nell’esposizione di Palazzo Maffei, ma che già da sé vale di gran lunga una visita. Riuscendo a rendere l’omaggio che merita, in Italia, uno dei maggiori scultori del Novecento, forse addirittura il maggiore, tornato prepotentemente nella cronaca per essere lo scultore ampiamente più quotato sul mercato delle aste internazionali. Nella mostra di Verona, realizzata da Linea D’ombra grazie alla decisiva collaborazione della Fondazione Aimé e Marguerite Maeght di Saint-Paul-de-Vence (a cui si devono oltre settanta opere di Giacometti, dalle sculture più celebri, ai disegni, ai dipinti), si sono potuti ammirare i disegni fatti dall’artista a poco più di dieci anni, le sculture inaugurali realizzate attorno ai quindici anni, fino alle prove surrealiste, per poi passare a quelle assai più celebri della maturità. Nell’esposizione vengono però rievocate alcune delle più straordinarie avventure culturali in Europa dalla metà del secolo scorso in poi, che hanno visto Aimé e Marguerite Maeght fondare a Cannes, prima della Seconda guerra mondiale, la loro prima galleria, per poi spostarsi a Parigi, nel ’45, con un’esposizione dei disegni recenti di Matisse. Mentre nel luglio del 1947, Aimé Maeght presenta, in collaborazione con André Breton e Marcel Duchamp, l’Esposizione internazionale del Surrealismo che conosce un successo senza precedenti e assicura alla giovane galleria una straordinaria notorietà. Esponendo le opere di tutti gli artisti più importanti e nuovi di quel periodo affascinante a Parigi: Kandinsky e Miró, Léger e Chagall, Braque e Giacometti solo per dire di alcuni tra i tanti. Per questo la Fondazione possiede oggi una delle più importanti collezioni in Europa di dipinti, disegni, sculture e opere grafiche del XX secolo, con nomi di straordinaria importanza che sono stati legati alla famiglia Maeght per decenni e che vengono proposti oggi a Verona, con la mostra nelle ampie sale del Palazzo della Gran Guardia, che è in grado di raccontare questa strepitosa avventura artistica e di mecenatismo culturale, nota a livello mondiale. Non soltanto un omaggio monografico al maestro svizzero (come se non fosse già tanto), dunque, ma anche un decisivo sguardo sul tempo che ha caratterizzato la vita di Alberto Giacometti a Parigi, dove è arrivato nel gennaio del 1922. In un percorso espositivo in cui ripercorrere la sua carriera, camminando, affiancati dalla Grande femme debout o dall’ancor più celebre Homme qui marche. In uno scenario unico e altamente suggestivo, che rende onore a un grande maestro e alla sua ricerca infinita, che Goldin esplora e propone in maniera attenta e approfondita, con qualche punto di vista anche fuori dal coro. Scavando in profondità e proponendo così riflessioni utili anche a un pubblico più attento e specializzato, senza limitarsi alla “sola” (si fa per dire) messa in scena delle opere, che varrebbe comunque, già da sé, il prezzo di un biglietto.
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