“Riportando tutto a casa”, progetto di Contemporary Cluster in collaborazione con la Direzione regionale Musei Lazio – Museo delle Navi Romane di Nemi, presenta le opere di ventitré artisti italiani contemporanei facilitando, attraverso installazioni, dipinti, sculture e video arte un dialogo con l’architettura e la collezione del Museo.
Paolo Assenza, Antonio Barbieri, Canicola, Dario Carratta, Cosimo Casoni, Giovanni Chiamenti, Matteo Costanzo, Fabrizio Cotognini, Giovanni De Cataldo, Valerio Di Fiore, Gioia Di Girolamo, Luca Di Terlizzi, Marco Emmanuele, Francesco Fossati, Federika Fumarola, Alberto Gianfreda, Alessandro Giannì, Giulia Manfredi, Caterina Morigi, Nero/Alessandro Neretti, Luca Petti, Giusy Pirrotta e Andrea Polichetti sono gli artisti che, con differenti geografie ed esperienze e in relazione alla collezione, hanno sviluppato differenti linguaggi capaci di generare una lettura nuova di un tema come il ricordo.
Nella mostra – a cura di Lorenzo Madaro, visitabile fino al 30 settembre e accompagnata da un catalogo edito da Contemporary Cluster – questa tematica è declinata attraverso frammenti, visioni, proposte immaginifiche, brandelli di materiali attraverso i quali ogni artista elabora una personale visione che si associa al grande repertorio di oggetti ritrovati, elementi rinvenuti durante importanti scavi archeologici degli ultimi decenni, con cui condividono una possibile e a volte contraddittoria familiarità.
Così, per esempio, Fabrizio Cotognini in Season in the abyss, traduce l’l’orizzonte alchemico e storico-artistico in una forma future contemporanea. Nella scultura bronzea, fusa a cera persa e raffigurante un teschio, sono i connotati di un’espressione estetica collettiva in cui gli uomini possono trovare, rispecchiata, la propria identità. Inadeguata è infatti la conoscenza che dà l’illusione di onnipotenza, perché nella chimera di spostare da sé i limiti della sua dimensione umana, l’uomo è dannato a soggiacere al potere illimitato di una natura da sempre irrazionale, affascinante e distruttiva. La fusione in vetro Σύνδεσμος II (Sindesmos II) di Giovanni Chiamenti nasce da un rizoma di bambù trasformato dall’azione del mare e degli agenti atmosferici. Siamo di fronte a un ibrido non meglio identificato: l’incontro tra materiali di fragilità opposta per quanto simili dal punto di vista degli elementi, funge da legante per dimensioni e mondi anche molto lontani: spesso Chiamenti spinge la visione in un mondo abbastanza distopico – che potrebbe presentarsi a noi – dove l’evoluzione delle specie può battere sul tempo la scienza.
Scultorea e site-specific è l’opera di Marco Emmanuele, Un calcio drudo. In aperto dialogo con lo spazio e la collezione, come suggerisce anche il titolo, l’artista realizza in vetro (recuperandolo dalla tecnica della ialurgia, ovvero la lavorazione del vetro che fa in chiave pittorica) un calcio, metaforico e amichevole, ai concettualismi del passato, intendendolo come un passaggio di testimone, una rovesciata, uno slancio presente e boccioniano. Guardando invece alla pittura troviamo per esempio Cosimo Casoni, che nell’opera – sintesi di figurazione, studio del segno, linguaggio della strada e geometria – Catamaran study #4 (Baccanale), mescola acrilico con vernice spray e pittura gestuale ricreata imprimendo una marcatura consapevole della materia pittorica con le dita nell’opera.
Federika Fumarola, che nella nella consequenzialità del segno genera un pattern visivo ripetuto, carica Multigamma 5 (la sponda del lago) di una veste espressiva, piena di energia, e nel mentre anche lineare, che trova nell’indagine primordiale il suo significato più intenso. È pittorica, e volumetrica grazie all’intelaiatura di carte acquerellate montate su una struttura lignea, l’opera La cronologia del trionfo, con cui Luca di Terlizzi, sempre alla ricerca di un contatto con l’antico e con l’ancestrale, indaga la persistenza e l’importanza atavica degli aspetti celebrativi e rielabora un fregio istoriato.
Il percorso all’interno del Museo delle Navi Romane, dove ci si muove liberi e alla ricerca di scenari possibili e immaginabili, è denso di suggestioni, poesia, progettualità, differenze, ritualità e complessità che concorrono alla definizione del senso corale della mostra. «I cambiamenti scavano la fossa al vecchiomondo in modo che il suo crollo sia spesso molto silenzioso. È così che cambiano gli uomini – una smorfia, uno scatto di nervi, una parola al posto di un’altra parola – , è in questo modo che da un momento all’altro non siamo più noi stessi», si legge nel romanzo di Nicola Lagioia da cui la mostra riprende il titolo. Come i protagonisti Lagioia, così gli artisti invitati, condividendo l’esperienza con il segno tellurico e marino di questo luogo dell’archeologia che volge al presente, si aprono ai cambiamenti del linguaggio e della ricerca.
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