La mostra Robert Indiana: The Sweet Mystery, curata da Matthew Lyons e presentata da Yorkshire Sculpture Park come evento collaterale della 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, offre un punto di vista inedito sull’opera dell’artista americano. Organizzata con The Robert Indiana Legacy Initiative e ospitata presso le Procuratie Vecchie di Piazza San Marco dal 17 aprile al 24 novembre, l’esposizione riassume sei decenni della carriera dell’artista americano, con particolare enfasi sui temi della spiritualità, dell’identità e della condizione umana.
Il percorso espositivo si articola in nove sale, lungo le quali l’osservatore è accompagnato dalla narrazione introspettiva della vita di Robert Indiana (1928 – 2018), i cui frammenti compongono oltre 40 opere. La voce che guida questo processo di scoperta del sé è colorata da una trama di influenze che l’evoluzione artistica di Indiana ha assimilato nel corso degli anni. L’allestimento inizia con una panoramica sulla biografia dell’artista, introducendo così i costanti riferimenti personali e geografici che sagomano l’anima della mostra.
Le prime sale del secondo piano delle Procuratie Vecchie rievocano la permanenza di Indiana a Coenties Slip tramite assemblaggi di residui dell’attività portuale del quartiere. Qui, opere come Ginkgo, The Melville Triptych e la serie di travi in legno nella quinta sala, chiamate “erme”, aprono uno scorcio sulla realtà dell’East River, dove Indiana si serve di detriti per dare origine a un atto di reinvenzione e risposta al convulso clima sociopolitico dell’epoca. Attraverso scarti di legname, oggetti metallici e altri rimandi locali come le foglie degli alberi di ginkgo di fronte al suo loft, Indiana consacra il luogo come innesco per l’autoanalisi emotiva.
Nelle pareti delle sale, alcuni estratti dalle testimonianze dell’artista si intrecciano a citazioni poetiche di Herman Melville, Hart Crane e Walt Whitman, esaltando l’importanza della geografia nel lavoro di Robert Indiana e offrendo una nuova prospettiva sulle relazioni tra artisti e poeti membri della comunità queer degli anni ’50 e ’60. Nell’arte dell’artista americano, la spiritualità e la letteratura sono elementi imprescindibili che alimentano una perpetua indagine artistica della rappresentazione, in cui l’identità queer emerge protagonista.
Ispirato dagli esperimenti sul linguaggio circolare di Gertrude Stein, Indiana sviluppa e promuove uno studio sulla parola scritta che costituisce il fulcro della mostra, dimostrando come essa sia sufficiente a costituire da sola un’opera d’arte. Nel contesto di questa esposizione, Eat/Die rivela la potenza espressiva del linguaggio e dell’astrazione, creando un filo conduttore con l’ultima sala, in cui The Electric American Dream (EAT/DIE/HUG/ERR) corona la dimensione affettiva dell’artista, veicolando il lessico tipico della sua famiglia per trasmettere la propria concezione della coesistenza nella vita di amore, sopravvivenza e peccato.
The Sweet Mystery, da cui la mostra prende il nome, rappresenta l’apice dell’analisi interiore che permea l’esposizione. Quest’opera sintetizza l’evoluzione artistica di Robert Indiana, conferendo forma e valore all’intrinseca componente sentimentale che ha ispirato il suo lavoro. Da un momento di sofferenza, vissuto dopo la fine della relazione con Ellsworth Kelly, Indiana sviscera l’esperienza dell’abbandono, personificata nel percorso espositivo da Leaves e KvF XI (Heartley Elegy), che alludono rispettivamente alla separazione da Coenties Slip e al lutto di un caro amico, il soldato tedesco Karl von Freyburg.
La mostra si conclude con un approfondimento sul significato di agápē attraverso le sculture LOVE, AHAVA e AMOR, che trascendono l’aspetto convenzionalmente erotico o sociale per trasmettere un significato spirituale più profondo. Indiana presenta l’amore incondizionato e disinteressato per mezzo di un filtro Pop che ne mostra la sfumatura sia in termini di compassione e amore per l’umanità, sia alludendo all’impegno dell’artista americano per la giustizia sociale, celebrato dal bronzo dipinto Ash che chiude la mostra con un tributo alle vittime dell’HIV/AIDS durante un periodo di negligenza governativa e stigma pubblico.
La pratica artistica di Robert Indiana sostiene e consolida una ricerca emotiva, che nell’occasione della mostra Robert Indiana: The Sweet Mystery viene valorizzata dalla curatela del percorso, accessibile come un binario parallelo in cui i legami tra biografia, luoghi e influenze artistiche convergono nella trasposizione di un’esplorazione allo stesso tempo artistico-sperimentale e personale da parte dell’artista, per mettere in luce un’identità cangiante ma fortemente radicata.
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