Sarà visitabile fino al 16 novembre 2024 la mostra di Roberto Cuoghi nella galleria parigina Chantal Crousel, con un nuovo capitolo di PEPSIS. Questo progetto nasce da un approccio o, come direbbe Giorgio Verzotti, autore del testo critico che introduce la mostra, da una «Postura» dell’artista basata sulla stilizzazione, ovvero, una rappresentazione semplificata che delinea l’essenza delle nostre strutture mentali.
Cuoghi è sempre stato un artista eclettico e non si smentisce nella scelta di utilizzare il medium più in voga: la pittura. Il risultato sono dipinti che danno prova di grande abilità tecnica – «Li dipinge magistralmente» – ma che non posseggono alcun tipo di autenticità e innovazione. Verzotti sottolinea la proporzione per cui se la stilizzazione sta alla formazione come lo stile sta alla forma, una volta tolta l’azione, non rimane che l’essere. «Un essere resistente? In ogni caso nulla ci impedisce di provare: diventiamo ostili allo stile». L’artista lo diventa proprio perché il criterio dominante si rivela essere la ricerca di schemi comuni preesistenti, in cui «L’overdose di referenze è ridotta a un insieme di opzioni senza criteri gerarchici».
Le opere sono il frutto di un miscuglio realizzato con Google Lens, in cui manca qualsiasi tipo di logica. Nascono da un’immagine presa da internet, dalla copertina di un album jazz, dalla scena di una festa di compleanno di un celebre thriller dei primi anni ‘90 e da una fotografia scattata a Milano.
Il titolo della mostra, pepsis, deriva dal greco antico e significa letteralmente “digestione”. Le pietanze costitutive della produzione vengono così scomposte per poter essere assimilate dall’organismo dell’arte. Pepsis è anche una specie di vespa parassita che sfrutta altri insetti come fonte di nutrimento per i suoi piccoli, manipolando il comportamento degli insetti ospite, mentre i piccoli stessi ne divorano il corpo dall’interno.
Allo stesso modo, l’artista gioca con il sistema da dentro, esplorando gruppi tematici considerati dei cliché nell’ambiente contemporaneo. Di fronte a essi, lo spettatore si sente spaesato, percepisce delle possibili connessioni che però si rivelano fragili e incerte. Oltre alla sensazione di dejavù si aggiunge anche la ricerca di un nesso tra diversi nuclei di opere simili ma sembra, piuttosto, di essere di fronte a un’esposizione collettiva.
Ritroviamo la nostra espressione nei volti dei personaggi agghindati a festa che ci guardano in cagnesco. Ci aspettano da ore per spegnere le candeline. Siamo arrivati in ritardo, come sempre, ma la festa non è ancora finita. D’altronde non è mai troppo tardi per assistere a una nuova consacrazione della pittura.
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