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Dopo la mostra “Vetro” (da maggio a settembre 2020), Studio La Città torna a esplorare l’uso dei materiali nella collettiva “Rosso e Grigio” (fino al 27 febbraio), a cura di Marco Meneguzzo, che riunisce opere in ceramica e in cemento di Luca Caccioni, Luigi Carboni, Sonia Delaunay, Lucio Fontana, Alberto Garutti, Dave Hardy, Antonio Ievolella, Claudia Losi, Emil Lukas, Imi Knoebel, Riyas Komu, Fausto Melotti, Daniela Monaci, Lucio Pozzi, Emilio Scanavino, Alberto Scodro, Francesco Simeti, Jessica Stockholder.
Nel percorso espositivo, ha spiegato la galleria, vengono presentati sia artisti che utilizzano con costanza ceramica o cemento, sia artisti che li hanno sperimentati solo occasionalmente: «Studio la Città ha scelto questo interessante campo di indagine per scoprire e mettere a confronto le diverse applicazioni e i diversi linguaggi di ricerca di artisti che appartengono a generazioni, nazionalità, culture diverse».
«Il titolo della mostra – “Rosso e Grigio” – rimanda a due colori distinti, come distinti sono i materiali protagonisti di questa collettiva. La terracotta e la ceramica, precisa Marco Meneguzzo nel testo dedicato alla mostra, “sono materiali antitetici: si usa o l’uno o l’altro, difficile – se non impossibile – trovarli insieme, per una sorta di incompatibilità caratteriale, che vede il caldo della terra contrapposto al freddo del conglomerato, così come il rosso è lontano dal grigio, per non parlare delle loro qualità strutturali vere e proprie”», ha aggiunto la galleria.
Fino al 27 febbraio in galleria sarà aperta anche la personale di Angela Caputi (1937, Bari) “Indossare il colore”: «la mostra segue “La Musée 2”, un’esposizione quasi completamente al femminile che ha abitato gli spazi della galleria per un mese e mezzo. Le creazioni della stilista, sono bijoux unici ed inimitabili, vestono donne di tutte le età e di ogni parte del mondo. La loro particolarità sta nel design e nel colore, sono dei veri e propri oggetti d’arte esclusivi e sofisticati», ha ricordato Studio La Città.
Intervista a Hélène de Franchis, fondatrice di Studio La Città
Dopo la collettiva “Vetro”, “Rosso e Grigio” è la seconda mostra in galleria dedicata alla sperimentazione dei materiali, in questo caso a opere in ceramica o in cemento. Come si collocano questi approfondimenti rispetto alla ricerca della galleria?
«Dopo la mostra “Vetro”, ho voluto proseguire la ricerca sul lavoro degli artisti nel corso di questi 50 anni di attività come galleria. Mi sono sempre interrogata sulle scelte selettive dei materiali che gli artisti affrontano nel corso della loro carriera e come la loro sperimentazione possa essere più o meno soddisfacente nei risultati».
Come sono state scelte le opere in mostra e da dove provengono?
«Da mesi pensavo alle opere in ceramica o cemento realizzate dagli artisti dei quali amo il lavoro, o con i quali ho lavorato negli anni, includendo anche quelli che a volte, per ragioni che spesso non ricordo, con cui ho smesso di lavorare, e mi è venuta la curiosità di capire meglio. A Marco Meneguzzo è piaciuta l’idea di questa ricerca e quindi ha scritto un testo che chiarisce in modo preciso il concept di questa mostra: “[…] oggi si assiste alla rinascita di un interesse per i materiali, di cui lo “sdoganamento” internazionale delle ceramiche di Lucio Fontana, di Leoncillo (Leonardi), di Fausto Melotti, di Gio Ponti, ma anche di Luigi Ontani, è un sintomo evidente, come indizio evidentissimo è la selezione presentata – Luca Caccioni, Luigi Carboni, Sonia Delaunay, Lucio Fontana, Alberto Garutti, Dave Hardy, Antonio Ievolella, Claudia Losi, Emil Lukas, Imi Knoebel, Riyas Komu, Fausto Melotti, Daniela Monaci, Lucio Pozzi, Emilio Scanavino, Alberto Scodro, Francesco Simeti, Jessica Stockholder – quasi tutta composta di artisti non certo noti per l’uso di questi materiali, e anzi spesso idealmente lontani da essi […]”».
Quali sono, secondo Lei, alcuni degli aspetti più interessanti che emergono dal percorso espositivo in merito alla sperimentazione artistica con la ceramica e con il cemento, e, più in generale, con materiali nuovi rispetto alla produzione dei singoli artisti?
«Come per la mostra Vetro anche qui le opere sono di artisti di paesi diversi e di generazioni diverse, ma funzionano benissimo insieme. Alcune fanno parte della collezione della galleria, altre sono state esposte 30/35 anni fa ed è stato molto interessante rivederle adesso, insieme ad altre più recenti e di artisti molto più giovani: mi sono sembrate diverse e ho trovato questo molto curioso. Hanno tutte retto benissimo il passare del tempo e interagiscono con opere di artisti più giovani come se i rispettivi autori si fossero conosciuti e avessero lavorato insieme».
Può segnalarci un paio di opere che ritenete particolarmente interessanti all’interno del percorso espositivo?
«Sotto la grande e imponente installazione Spinning Top, di Alberto Scodro ho collocato, su una semplice base bianca, una ceramica di Lucio Fontana del 1937 una Vittoria Alata: sono evidentemente due opere molto diverse tra loro, ma in questo contesto sembrano complementari, quasi indispensabili l’una all’altra e viceversa. L’altro ‘dialogo’ che è veramente difficile da immaginare è tra le cinque mattonelle di ceramica, pesanti, massicce, colorate, opere dello scultore Antonio Ievolella e – sulla stessa parete – un piatto di Lucio Fontana di terracotta con un cavaliere o una corrida in rilievo con tocchi di pittura nera. L’eleganza di Fontana dà ulteriore corpo alle cinque mattonelle che acquistano ancora maggiore potenza. Allo stesso modo potrebbe sembrare un accostamento particolarmente ardito il piatto di Sonia Delaunay e i cementi di Emil Lukas mentre invece suggerisce singolari affinità. Ma una mostra costruita in questo modo è interessante nella sua interezza perché dà vita a curiose relazioni, a presenze inaspettate. Non saprei segnalarne alcune in particolare, direi che ciascuno di noi potrà trovare una ‘favorita’…».
Quali saranno le prossime mostre in galleria e/o a quali fiere parteciperete?
«La prima mostra di quest’anno sarà una personale di Vincenzo Castella con opere completamente nuove: la fotografia diventa quasi pittura. La ricerca di Castella sui materiali e il suo modo di guardare fa parte di questa mia stessa ricerca e credo sarà anche questa volta un’interessante collaborazione.
In aprile/maggio farò una mostra per il Libano con gli artisti di una galleria libanese, Galerie Tanit, che, dopo lo scoppio avvenuto nella zona del porto di Beirut nell’agosto scorso, ha perso tutto, spazio espositivo, magazzino, casa. Mi sembra importante essere solidale con una collega che conosco da tanti anni e offrire ai suoi artisti la possibilità di esporre le proprie opere.
Quest’anno continuerò a dedicare il mio tempo ad approfondire il rapporto con gli artisti e a organizzare mostre stimolanti e fuori dai cliché, sia in galleria che in altri spazi».