Nella sede milanese della Prometeo Gallery Ida Pisani la personale di Ruben Montini (1986, Oristano) “Lame”, presentata da un testo di Eugenio Viola (che potete leggere qui).
Nel percorso espositivo anche opere di Nicolò Bruno (1989, Milano), del duo Prinz Gholam (Wolfgang Prinz, 1969, Leutkirch, Germania, e Michel Gholam, 1963, Beirut, Libano) e di Karol Radziszewski (1980, Polonia), invitati da Montini stesso.
Nell’ambito di “Lame”, inoltre, lo scorso 7 giugno Montini ha realizzato la performance San Sebastiano, che riflette sull’omofobia in Europa. Di tutto questo abbiamo parlato con lui.
La mostra sarà visitabile fino al 16 giugno 2021.
«Per la performance San Sebastiano ho invitato sei ragazzi omosessuali provenienti dai sei Paesi Europei in cui i movimenti neo-fascisti stanno prendendo piede in misura preoccupante (Austria, Francia, Germania, Italia, Polonia, Ungheria).
Ho chiesto a ognuno di loro di tatuare sulla mia schiena, ognuno nella propria lingua, insulti omofobi o frasi omofobe pronunciate dai politici dei loro paesi.
Quando hanno finito, un tatuatore professionista ha marchiato sui loro insulti sulla mia schiena le 12 stelle della bandiera europea.
Come spiega il filosofo Lorenzo Bernini: “[…] quali corpi vengono effettivamente coperti, protetti, dalla bandiera europea? Davvero le leggi antidiscriminatorie bastano per integrare le minoranze al tessuto sociale? Davvero bastano matrimoni o unioni civili per rendere lesbiche e gay persone uguali alle altre? Davvero il frocio può aspirare a una cittadinanza piena? E l’artista? C’è forse qualcosa di irrealistico, di impossibile, di psicotico in questo desiderio, come nel desiderio maschile di partorire? San Sebastiano suscita questi interrogativi, e altri ancora. […] Questa volta non è però su una stoffa che Montini chiede di lasciare un segno. Né è lui a incidere il suo corpo. […] Mappatura dell’omofobia del continente, certamente. Cartografia del doppio osceno dell’Unione europea, anche. Del fascismo eterno che essa tollera, che in essa sempre alberga. Del male in politica che minaccia la speranza, che ferisce la carne, a cui l’artista, solo, si consegna in offerta di espiazione (da Lorenzo Bernini, Asincronie Montini, 2021)».
«Sul pubblico non posso risponderti: non incontro il pubblico dopo le performance, quindi quello che potrei raccontare sono le tantissime condivisioni sui social o ciò che mi hanno scritto. Ma è molto importante per me non entrare in contatto diretto subito dopo l’azione con chi l’ha vista dal vivo, per lasciare loro la possibilità di riflettere sul lavoro».
«”LAME”, accompagnata da un informatissimo testo di Eugenio Viola, è la mostra che ho sempre sognato di fare. Sin dai tempi dell’Accademia il mio interesse è sempre stato specifico, verso un fare artistico esplicitamente politico, cercando di coniugare forma e contenuti a un linguaggio di ricerca. Anche quando ho realizzato lavori più “romantici”, la forza politica del lavoro era dichiarata nelle stesse parole cucite: un uomo che scrive di amare un altro uomo senza mezzi termini, non era un passaggio usuale nell’arte visiva italiana mentre oggi, guardando i lavori dei più giovani, mi rendo conto di aver spalancato un portone. La rappresentazione dell’uomo omosessuale nell’arte italiana non aveva mai avuto la pretesa di emancipazione sociale. Nel mio lavoro, invece, cerco di coniugare un preciso linguaggio all’urgenza del racconto delle discriminazioni sociali. Io parlo del mondo che conosco e delle discriminazioni di cui ho esperienza diretta, ma penso che nei miei lavori si possano riconoscere anche altre persone che sistematicamente sperimentano altri tipi di emarginazione sociale».
«Ho fortemente voluto che all’interno di “LAME” si creasse un dialogo con alcuni artisti omosessuali che ammiro. Anche questo esempio, come anche San Sebastiano, risponde al mio desiderio di dare forma al concetto di comunità, costruendo una coralità di voci e di esperienze differenti, che illustrano la realtà della comunità LGBTQI+. Questo, per me, è un concetto importante in un momento di lotte sociali come quello odierno».
«Nello specifico, il lavoro di Nicolò Bruno è un lavoro giovane e ancora in fieri che ritengo molto interessante nel panorama italiano a cui, da qualche anno, cerco di dare visibilità. La sua pittura racconta momenti di omoaffettività ed è singolare nel landscape italiano.
Prinz Gholam, invece, è un duo artistico importantissimo a livello internazionale, il cui lavoro poetico è allo tempo urgente e radicale. Mi sono innamorato della loro ricerca vedendo i loro disegni a Documenta 14 al Museum für Sepulkralkultur di Kassel e poi la grande performance a Punta della Dogana a Venezia nel 2018.
Karol Radziszewski è un faro importantissimo per la mia ricerca: conosco Karol da tantissimi anni. Un curatore polacco ci mise in contatto ancora nel 2010 e io ne fui immediatamente affascinato: è un artista complessissimo, che tramite l’uso di pittura, video, performance e installazione, lavori di archivio (QAI – Queer Archive Institute) e la creazione di DIK Fagazine, racconta la storia LGBTQI+ soprattutto della Polonia e dei paesi di tutta l’Europa dell’Est e dell’ex blocco sovietico. Un lavoro indispensabile e un artista articolatissimo che mi ha sempre ispirato e spinto a voler colmare la mancanza di un discorso autoriale come il suo in Italia».
«Riflettevo con una amica, qualche giorno fa, sul fatto che San Sebastiano sia uno dei pochi lavori che riflettono sulla condizione delle persone omosessuali a livello europeo e non circoscritto a un territorio nazionale. L’attenzione verso il contesto europeo è sovente nei miei lavori: si pensi ad esempio a Questo Anonimato È Sovversivo (2017- ongoing), One person protest (2017 e 2018), Cosa resta di noi – Requiem (2015).
Per me è importante raccontare la mia esperienza: non è un discorso pianificato ma un’esigenza naturale. Penso che l’arte venga sempre da un bisogno interiore che ti tiene sveglio la notte. Non mi piacciono gli artisti che “applicano il loro saper fare artistico” a questioni di cui non hanno una reale esperienze. A me interessano quei lavori che ti prendono per mano, o “prendendoti a schiaffi”, ti fanno fare un viaggio nella vita del loro autore.
In italia le cose per noi cambieranno quando si capirà che la differenza sessuale è una vera differenza. E che la nostra unica uguaglianza è quella di fronte alla legge, ma per il resto siamo tutti esseri così diversi tra loro che hanno bisogno di essere rispettati in virtù delle loro peculiarità e non in un tentativo semplicistico di equiparazione qualunquistica.
In Europa le cose cambieranno quando smetterà di tollerare il germogliare e il proliferarsi dei pensieri e movimenti neo-fascisti al suo interno».
«Questi giorni ha aperto “Italian Twist”, una grande collettiva a cura di Elisa Carollo e Mattia Solari alle Gallerie delle Prigioni di Treviso, in cui espongo la parte italiana di “PALE D’ALTARE”, composto da 208 Pale, una per ogni nazione del mondo: un nuovo lavoro partecipativo in cui invito chiunque si identifichi all’interno della comunità LGBTQI+ a cucire – usando lettere ritagliate dai propri vestiti – frasi omotransfobiche sperimentate sulla propria pelle. “Un’effimera comunità senza confini e senza legge, fondata sulla condivisione di un’esperienza di abiezione. Fuori dallo spazio, fuori dal tempo, eppure qui ed ora – come una rivoluzione, come un miracolo. Martiri. Resti. Appunto, macerie.” (Da Lorenzo Bernini, Asincronie Montini, 2021)”.
Nelle prossime settimane, invece, realizzerò una performance alla Kunsthalle Bratislava in Slovacchia (19 giugno), e al <rotor> Center for Contemporary Art di Graz in Austria.
Dal 5 luglio invece avrò una mostra alla Galeria Nueva di Madrid, organizzata da Prometeo Gallery e poi sarò alla Mestna galerija Ljubljana».
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