“Sacro e Profano” sono i due aggettivi che descrivono il rapporto di Serena Fineschi con la pittura, rispetto sacrale e rottura dei canoni tradizionali. L’artista, nata a Siena nel 1973, lavora tra la sua città natale e Brussels. Dopo la sua formazione all’istituto d’arte Duccio di Buoninsegna, ha poi proseguito i suoi studi in Storia dell’Arte Contemporanea all’Università di Siena. Il rapporto con i grandi maestri, in particolare del Trecento, è fondamentale per la sua ricerca artistica e viene affrontano in maniera non convenzionale. Il suo intento, come lei stessa dichiara, è quello di «insultare e consacrare, profanare e benedire, turbare e rassicurare. Subire». Ecco allora che nel percorso espositivo nel main space della galleria troviamo una Maestà (Annunciazione) composta con gli incarti dei Ferrero Rocher, che richiamano l’oro dei dipinti medievali, o Disegno di ogni dispetto (La Battaglia di San Romano), ottenuta con il gesto dissacratorio di sputare pezzi di carta Canson nera sulla tela, fino ad arrivare a maestri più contemporanei, come Rothko, a cui fanno riferimento la serie di opere nell’ultima sala, Ingannare l’attesa, realizzate con penna bic.
L’uso dello strumento tradizionale per questo mezzo espressivo tuttavia non viene negato, anzi. Nella project room da Marignana Arte l’artista sceglie proprio la pittura viva, cruda, attraverso una sua selezione di artisti di generazioni diverse che cercano – con linguaggi eterogenei e con impegno costante- di innovare il linguaggio pittorico e alimentarne il dibattito: Giuseppe Adamo, Lorenza Boisi, Anna Capolupo, Adelaide Cioni, Giovanni Copelli, Luisa Me’, Giulio Malinverni, Alessandro Pessoli, Alessandro Scarabello, Caterina Silva. L’artista ha scelto con attenzione gli artisti da invitare, pittori che hanno deciso di condividere con lei questa breve parentesi, ai quali ha chiesto di proporre un lavoro di dimensioni ridotte, senza alcun limite formale o concettuale: «Mi piace pensare di essere in compagnia di un gruppo di amici, pittori solidi e brillanti. Di averli concretamente vicini. Di scorgerli attraverso la porta e sentirli conversare garbatamente davanti a un bicchiere, sulle controversie del dipingere e dello stare al mondo. Perché di questo si tratta. Del vivere».
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