A Tellaro di Lerici, in provincia di La Spezia, negli spazi di Fourteen Artellaro – Osservatorio per l’arte contemporanea, prosegue la rassegna 2020-2021 “Osare Perdere” con l’audio installazione site specific Sconcerto di Sonia Andresano (fino al 4 settembre).
La rassegna, della cui organizzazione si occupano Guido Ferrari, Gino D’Ugo, Iginio De Luca, ha avuto inizio a fine giugno, fino ad oggi ha presentato opere di Mario Consiglio, Matteo Attruia, Silvia Giambrone, ora Sconcerto di Sonia Andresano, e nei prossimi mesi ospiterà lavori di Andrea Luporini, Daniela Spaletra, Laura Cionci, Serena Fineschi, Fabrizio Cicero, Luca Pancrazzi e altri.
Fourteen, nato nel 2016 da un’idea di Guido Ferrari, ha sede in un piccolo fondo nel borgo di Tellaro e «si propone come osservatorio per l’arte contemporanea senza scopo di lucro. Lo spazio, essenziale, è costituito da una piccola stanza e una vetrina sulla piazza del borgo che ne fa da separazione e tramite di continuità e comunicazione. La programmazione di Fourteen sin dal primo anno è seguita e curata da Gino D’Ugo coadiuvato saltuariamente da altri artisti», ha spiegato Fourteen.
«Un passo dopo l’altro Fourteen si è strutturato sempre di più con le varie rassegne. “Osare perdere” è per continuità, il seguito di tutte le esperienze e i concetti che si sono stratificati in questi anni, in cui gli elementi chiave si sviluppano sulla possibilità del pensiero di deviare percorsi prestabiliti con l’obiettivo di ampliare e restituire una visione più ampia del vivere».
«Semplicemente mettere in mostra l’arte contemporanea in un luogo dove era assente, per darne visibilità attraverso una vetrina: importante luogo di passaggio durante alcuni periodi dell’anno. Questa è un’occasione per essere in rapporto diretto con le persone».
«Gli artisti sono scelti e invitati attraverso la valutazione dei loro differenti approcci all’arte e per affinità, anche frammentaria, ai concetti generali legati alle rassegne. Ognuno ne restituisce una parte e una visione onesta e originale, conforme a sé.
Il prossimo artista di “Osare perdere” sarà Andrea Luporini, l’unico del territorio che si è formato presso la scuola di Fondazione Modena Arti Visive, inoltre ha collaborato con l’organizzazione della precedente edizione di Fourteen.
Nello spazio espositivo presenterà un video inedito dal titolo Vathi Sporting Club, girato a Samos.
Dopo Andrea ci sarà un fermo della rassegna, che è biennale.
Il 19 settembre lo spazio verrà allestito con un lavoro di Daniela Spaletra per un evento collaterale di Manifesta 13, all’interno del progetto ARKAD presentato da Kad.Successivamente l’attività riprenderà nella prossima primavera con artisti che, per ristrettezze legate agli avvenimenti del lockdown, non hanno potuto esporre quest’anno. Dalla prossima primavera ci saranno: Serena Fineschi, Laura Cionci, Fabrizio Cicero, Luca Pancrazi, a cui si aggiungeranno altri tre o quattro artisti ancora in via di definizione».
«Sconcerto è un’opera site-specific, è nata per Fourteen.
Lo spazio, trasformato in una cabina audiometrica, cambia la sua dimensione, la restringe.
In questa sorta di confessionale si consuma un concerto da camera, una sinfonia eseguita da tarli che man mano si annidano nel cervello: attesa che consuma, melodia logorante, movimento penetrante. Il suono che si diffonde nel suo interno è un tempo sospeso in transito, infiltrante crepitio dell’anima. In questa altalena visiva, tra un luogo intimo e una vetrina su strada, Sconcerto immerge lo spettatore all’interno di ogni cosa».
«Il suono è l’elemento tridimensionale, lo utilizzo come una materia scultorea.
Nei miei lavori spesso ha il compito di ribaltare la visione, di spostarla altrove mentre si diffonde e riempie lo spazio. Ogni interno rimanda a un esterno e questo passaggio è percepibile soprattutto attraverso l’audio, come quando metti e togli le cuffie: sei dentro e fuori».
«Più che uscire dagli schemi cerco di uscire fuori dal campo, come in una partita di ping pong.
Il tavolo da gioco è diviso in due e la pallina rimbalza da una parte all’altra in maniera imprevista. Capita che cade sotto il tavolo, “fuori gioco”: è quella l’area che mi interessa indagare.
L’uscita dagli schemi, il fuori posto di Sconcerto risiede nell’aspettativa. Appena dall’esterno ti affacci alla finestra scorgi lo spazio claustrofobico e quasi ci cadi dentro con lo sguardo, lo esplori cercando qualcosa ma non trovi nulla, mentre alle tue spalle il passaggio delle persone non si arresta. All’interno invece tutto cambia, sei parzialmente in vista, in vetrina come un manichino. Ovattato dai rumori esterni ti ritrovi a seguire con l’orecchio il suono infiltrante che gratta mentre osservi la vita che scorre».
«Ogni cammino è intervallato da una sosta, un tempo necessario al recupero delle forze. Poi esistono le pause forzate, tempi sospesi che sembrano infiniti.
L’audio dei tarli è stato registrato tempo fa, si è manifestato casualmente mentre lavoravo a un progetto sulle sale d’attesa. Ero al buio e un suono insolito proveniva dal ripostiglio del mio studio. Nel momento in cui accesi la luce il suono si arrestò, come fosse un corto circuito. Questo movimento sonoro interrotto dalla luce sincopava il tragitto dei tarli che pian piano consumavano sedie e mobili di legno.
Recentemente siamo stati tutti in attesa, bloccati in una battuta d’arresto. Ci siamo consumati da soli ascoltando ognuno i propri tarli che ci attraversavano la mente».
«“Allegra ma non troppo” è stato un viaggio nel tempo, dentro e fuori i luoghi. L’intero spazio era avvolto da rumori, ogni passaggio era accompagnato da atmosfere sonore. Sconcerto, come “Allegra ma non troppo” fa riferimento alla musica. Il concerto da camera che si consuma all’interno della cabina è stavolta affidato a un’orchestra sui generis, ignara del suo pubblico. È ora di stare in silenzio e ascoltare il rumore che c’è dentro e intorno a noi».
«Barcode è il progetto su cui sto lavorando adesso. Un lavoro che verrà presentata ad AlbumArte a novembre come evento collaterale di Manifesta 13, all’interno del progetto ARKAD presentato da Kad, ideato e curato da Dimora Oz e Analogique.
Il cancello come griglia che delimita e ripara è il soggetto di una videoinstallazione. Questo insieme di linee verticali, fisiche e immaginarie, sembrano interrompere un tragitto. Simile a un enorme codice a barre è utile a identificare l’estraneo, seleziona chi può entrare, protegge da un esterno. Il cancello è un separatore temporaneo, perimetro in movimento, barriera mobile come le transenne in un cantiere da cui è possibile vedere attraverso».
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