Nel Correre rapinoso attraverso le cose del mondo c’è più di un titolo puntuale, mutuato dal pensiero – ancor più puntuale – del critico d’arte Cesare Vivaldi. C’è l’attitudine intimista di Mario Schifano (Homs, 1934, Roma, 1998). Base monocroma, pensata nell’ottica di pagine di giornale strappate con lo stesso senso con cui lo smalto cola e si arriccia. Inquadrata, come fosse un fotogramma, una diapositiva. Narrativa, con lo stesso senso con cui le parole spiccano, le date sono lasciate a vista per stabilire una momento preciso e un tempo scandito. Schifano, così come ci viene servito a Genova da ABC-ARTE, è un luminare dell’osservazione del sé e del mondo, un cronachista senza orpelli che sa mettersi ad uso della realtà e viceversa.
Il monocromo, quello grande e su carta da pacchi dei primi anni ’60, qui assume il peso dell’autocitazione programmatica. Di uno Schifano per cui la stessa monocromia «Non ha un valore paragonabile a quello che può avere nell’ambito della Pittura Analitica o di Azimut» secondo il curatore, Alberto Salvadori. Salvadori che, a riprova di ciò, completa il suo pensiero con «Spesso i suoi monocromi hanno titoli evocativi». Il monocromo “rifatto” diventa qui un’istantanea. Una diapositiva, che va maneggiata con senso d’uso pratico (non basta la firma, Schifano spesso aggiunge il verso con “Top”, evidentemente convinto di quanto possa essere facile sbagliarne la lettura). Una forma regolare e regolata sull’imprecisione della natura umana di chi ci ha messo l’anima nel produrla. E che lì, variando cromia, ha scelto di racchiudere un pezzo di storia; di vita, vissuta cavalcandone gli eventi occorsi nel tempo, tra le pagine del Corriere della Sera o qualunque altra testata. Concettualmente, tanto nel pensiero dell’artista quanto in quello espositivo, non meno coerente col racconto per immagini di una New York veloce, moderna. E vissuta in quei precisi istanti.
Quel Correre rapinoso attraverso le cose del mondo, sentendosene parte, è stata una delle qualità di Schifano. E dovremmo ringraziare la sua scaltrezza intellettuale per questa mostra qualitativamente simile a una “capsula del tempo”, in cui la carta dei Senza titolo presenti è ingiallita assieme alle parole, marcando una linea tra il nostro “essere noi” di oggi e il suo “essere Schifano” di ieri. In cui anche le cornici, avendo perso l’originale bianco vivido e con qualche segno in più, citano tutto un proprio peregrinare spazio-temporale. Così come le immagini di viaggio dei Paesaggi urbani, scampoli di una vita trasversale all’ufficialità, scorciata e impressa tra contrasti cromatici sbiaditi. Formati differenti, percorsi differenti, per concentrazioni narrative perfettamente combacianti.
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Buongiorno ho un quadro di Schifano regalato da mio padre 50 anni fa ! Conosceva personalmente Mario Schifano! Se interessato mi contatti via email grazie!