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Senza mai sfiorire: scultura contemporanea italiana in mostra a Spoleto
Mostre
La mostra Senza mai sfiorire. Densità e leggerezza nella scultura italiana contemporanea inaugura un nuovo capitolo del lungo sodalizio tra Spoleto e il linguaggio scultoreo, chiaramente visibile sia nel profilo artistico della collezione museale ubicata a Palazzo Collicola, sia nel profilo urbano dall’istante in cui si arriva in città. Il Teodolapio di Alexander Calder, lascito della celebre manifestazione del ‘62 Sculture nella città, accoglie, monumentale, il viaggiatore appena uscito dalla stazione ferroviaria.
«Fin dall’inizio del mio incarico mi è sembrato fisiologico concentrare l’attenzione su un mezzo espressivo – la scultura, appunto – che è nel DNA della città da molti decenni; dall’esperienza pionieristica di Giovanni Carandente e della “sua” Sculture nella città, ma anche grazie alla presenza di una figura come Leoncillo, tra i più importanti interpreti del linguaggio plastico del XX secolo e spoletino di nascita», ci spiega Saverio Verini, direttore dei Musei Civici e curatore della mostra visitabile al Piano Nobile di Palazzo Collicola fino al 23 febbraio. «Da allora le cose sono cambiate molto, nell’arte e anche nella scultura. Per questo, mi sembrava interessante una ricognizione su quella che ancora oggi – nonostante tutte le trasformazioni occorse – si può continuare a chiamare “scultura”, attraverso rassegne di carattere generazionale».
Nel 2023, Verini aveva proposto una prima mostra sulla scultura italiana dal titolo La sostanza agitata, che aveva riunito le opere plastiche e installative di 11 artisti emergenti sotto i 35 anni. Senza mai sfiorire segue il suddetto filone generazionale proponendo le pratiche di 12 artisti nati negli anni ‘70: Giorgio Andreotta Calò, Francesco Arena, Micol Assaël, Francesco Barocco, Rossella Biscotti, Francesco Carone, Sara Enrico, Giovanni Kronenberg, Marzia Migliora, Fabrizio Prevedello, Giovanni Termini, Patrick Tuttofuoco.
Come nel caso della mostra del ’23, anche quest’anno l’attenta curatela di Verini installa un’opera per ogni stanza, un allestimento di ampio respiro che valorizza le specificità espressive rispetto sia al medium sia alla curvatura che ogni lavoro propone sul tema generale della mostra. Un discorso collettivo che trova anche consonanza con gli ambienti: «Lo spazio è stato sicuramente fondamentale nell’orientare la selezione dei lavori. Gli ambienti del Piano Nobile mi hanno suggerito molte scelte e accostamenti, spesso dettati da corrispondenze e analogie tra l’opera e la stanza che la accoglie», ci spiega il direttore.
Durante la visita si scovano, non senza un certo piacere per la ricerca, i sottili legami che le opere creano con l’intorno. Ad accogliere il visitatore, nella Sala d’onore, spicca Rosone (186) (2017) di Fabrizio Prevedello, che marca simbolicamente l’ingresso basilicale all’esposizione e suggerisce, con la sua forma, di guardare allo stratagemma rappresentativo escogitato dal pittore moderno Guidobaldo Abbatini alle pareti: la pianta di Spoleto, circolare come l’opera di Prevedello, emerge dalle mura della città in prospettiva.
Le sculture di Giorgio Andreotta Calò, dal titolo Scolpire il tempo (2010), bronzee bricole veneziane consumate dal tempo, risuonano nello spazio boschivo di un grande arazzo. Circoscritta (2016-24) di Giovanni Termini letteralmente circoscrive un cerchio nel quadrato quasi perfetto della Sala degli specchi; e anche l’arpione incastonato nella salgemma di Prey (2020), opera di Marzia Migliora, diviene scettro nell’opera retrostante.
Nell’approfondire con Verini il processo di genesi della mostra, ci siamo poi mossi sui caratteri che unificano le diverse opere. Una prima interpretazione ce l’aveva fornita la dialettica insita nel titolo: la connotazione eterna evocata dal “senza mai” e la labilità del fiore che inevitabilmente sfiorisce, confermate poi dalla contrapposizione tra “densità” e “leggerezza”, suggeriscono un linguaggio nel quale convivono elementi opposti.
Il direttore ci racconta di essere partito da artisti di cui ammira profondamente le pratiche e che ben rappresentano la molteplicità di approcci di fronte al medium scultoreo. «Differenze – continua – che, tuttavia, trovano un denominatore comune nella coesistenza di due tensioni opposte: da una parte, dei richiami alla tradizione scultorea (una certa monumentalità, l’utilizzo di materiali “classici” come il bronzo e il marmo, il senso di gravità); dall’altra, degli elementi che sembrano contraddire quella stessa tradizione, in favore di leggerezza, formati ridotti, impiego di elementi deperibili ed effimeri».
Si veda a questo proposito La serpe (2013-2024) di Carone, nella quale la copia in bronzo della serpe della Atena Giustiniani stritola ed è contornata da palloncini prossimi a sgonfiarsi; i dadi di Micol Assaël, nei quali il marmo, materiale scultoreo per antonomasia, è ridotto alla grandezza di una zolletta di zucchero; il Senza titolo (2022) di Kronenberg che presenta un cuscino sormontato, come fosse una sella, dalla spalla di un’armatura del XVIII secolo, che stempera il carattere epico nella morbidezza del suo cavallo.
Senza mai sfiorire riesce a gettare luce sulle sensibilità generazionali che, seppur con sostanziali specificità, mostrano approcci comuni. «Rispetto a La sostanza agitata – commenta Verini – Senza mai sfiorire mi sembra manifestare, in alcuni casi, un legame maggiore con la tradizione “formale” degli artisti italiani degli anni Sessanta e Settanta. In questa affinità, per certi versi fisiologica, sento tuttavia che le opere in mostra siano meno “dure”, attraversate da un lirismo più accentuato e, in alcuni casi, persino da una certa ironia.
Come se la spinta “sovversiva” e “guerrigliera” (per parafrasare Celant) avesse trovato una strada meno tesa e drammatica, ma non per questo meno radicale o potente negli esiti. Inoltre, trovo, per esempio, che diversi artisti de La sostanza agitata fossero maggiormente animati dalla volontà di mettere in discussione l’idea di monumentalità attraverso opere esplicitamente fragili e di piccolo formato o “interstiziali” rispetto allo spazio; mentre gli artisti di Senza mai sfiorire mi sembrano ancora saldamente legati all’idea di materiali durevoli e a una presentazione più frontale dell’opera rispetto allo spazio e all’osservatore».
Insomma una mostra che non solo chiede una visita attenta, ma anche permette un’ampia prospettiva, grazie a una ponderata e aggiornata curatela, sugli sviluppi di un linguaggio, quello scultoreo, nel suo continuo intrecciarsi al ricco tessuto artistico spoletino.