Nel cuore della capitale francese, il Grand Palais ha aperto le porte per Art Basel Paris, dopo ben tre anni di ristrutturazione. La città è in fibrillazione, e musei e fondazioni non si fanno cogliere impreparati, inaugurando mostre di altissimo livello. Ecco la nostra guida (valida per tutta la stagione).
Nel 2024 il Surrealismo ha compiuto 100 anni, e quale modo migliore per festeggiarlo se non con una mostra al Centre Pompidou. Ripercorrendo oltre quarant’anni del movimento, dal 1924 al 1969, il percorso si sviluppa intorno al Manifesto surrealista (l’originale, grazie al prestito da parte della Biblioteca Nazionale di Francia) firmato da André Breton. Atmosfere statiche, situazioni bizzarre uscite da sogni e inquietanti mostri, le opere surrealiste sono «Automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere», citando lo stesso Breton. In mostra ci sono i grandi nomi e i grandi capolavori, in prestito dalle istituzioni di tutto il mondo: Salvador Dalì con Le grand masturbateur, René Magritte con L’Empire des lumières, Giorgio de Chirico con Chant d’amour. Sono presenti anche artiste donne, a lungo trascurate, che hanno avuto un ruolo significativo nel movimento surrealista, come Leonora Carrington, Remedios Varo, Dora Maar e Dorothea Tanning. Fino al 13 gennaio 2025.
Poco distante dal Pompidou troviamo la Bourse de Commerce (la terza istituzione artistica di François Pinault). La mostra inaugurata lo scorso 9 ottobre, a cura di Carolyn Christov-Bakargiev, porta in scena un importante movimento artistico del Novecento italiano, l’Arte Povera. Siamo a metà degli anni ’60 e un certo numero di artisti – provenienti principalmente dal Nord Italia – danno vita a un tipo di arte assolutamente non convenzionale e non dogmatica; le loro opere vengono create con l’ordinario, da materiali naturali (terra, acqua, carbone, alberi) ad avanzi urbani (lastre d’acciaio, lingotti di piombo, corda, lampadine, travi di legno), e innescano flussi di energia fisica, chimica e persino psichica, attingendo alle nozioni di memoria ed emozione per coinvolgere gli spettatori, quest’ultimi intesi come parte integrante del lavoro. Si tratta di nomi come Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio, tutti in mostra fino al 20 gennaio 2025 alla Bourse. È l’occasione, tra l’altro, per ammirare il primo albero reale che Giuseppe Penone ha trasformato in scultura e il primo igloo realizzato da Mario Merz.
Come si sono evoluti nel corso della storia i folli? La risposta si può cercare all’interno della Sala Napoléon del Louvre, con la mostra FIGURES OF THE FOOL. From the Middle Ages to the Romantics. Si tratta di oltre 300 opere che parlano di folli attraverso ogni spazio artistico disponibile, da manoscritti miniati a libri stampati e incisioni, fino ad arazzi, dipinti, sculture. La loro onnipresenza nell’arte e nella cultura occidentale ha un ruolo chiave nell’avvento della modernità: il fool intrattiene, avverte o denuncia, capovolge i valori, può persino rovesciare l’ordine costituito, nasconde una ricchezza di sfaccettature di natura erotica, scatologica, tragica o violenta. Tra le (eterogenee) opere in mostra, anche il ritratto di Claus Nara von Rannstedt, il più importante «pazzo» del 16esimo secolo di area tedesca; e ancora le creature ibride, metà uomini e metà animali, e le scene da sogno tipiche dell’immaginario fantastico di Hieronymus Bosch. Fino al 3 febbraio 2025.
In un’epoca in cui le donne non erano considerate cittadini a tutti gli effetti in Norvegia, Harriet Backer sale alla ribalta grazie al suo pennello, alla sua arte. Famosa per l’uso di colori ricchi e luminosi, ha prodotto un numero notevole di opere in cui scene di interni si affiancano a dipinti en plein air, attraverso pennellate rapide e grande attenzione alle variazioni di luce. La mostra in corso al Musée d’Orsay descrive nel dettaglio la sua formazione artistica nelle grandi capitali culturali dell’epoca, tra cui Monaco e Parigi, ma presenta anche il lavoro degli artisti che gravitavano intorno alla sua cerchia. Backer non era molto nota al di fuori dei confini norvegesi e il Musée d’Orsay offre finalmente l’opportunità di scoprire nomi meno conosciuti che sono tuttavia essenziali per comprendere gli sviluppi artistici più significativi della seconda metà del XIX secolo. Fino al 12 gennaio 2025.
La Fondazione Louis Vuitton presenta Pop Forever, Tom Wesselmann &…, una mostra dedicata alla Pop Art, tra i principali movimenti artistici degli anni ’60. Grande attenzione è data in particolare a Tom Wesselmann (1931-2004), attraverso una selezione di 150 dipinti e opere in vari materiali: i suoi Great American Nudes saranno in dialogo con le icone americane dei suoi contemporanei, a partire da Andy Warhol, di cui è esposta la famosa serigrafia Shot Sage Blue Marilyn (1964) che immortala Marilyn Monroe in un’esplosione di colori vivi e contrastanti. Secondo i curatori della mostra, Dieter Buchhart e Anna Karina Hofbauer, più che una semplice retrospettiva, Pop Forever, Tom Wesselmann &… «contestualizzerà il lavoro di Tom Wesselmann all’interno della storia dell’arte e offrirà prospettive affascinanti sulla Pop Art, passata, presente e persino futura». Fino al 24 febbraio 2025.
I dripping sono i lavori più riconoscibili di Jackson Pollock, hanno dato il via alla sua ascesa. Le opere precedenti però oscillano tra riferimenti figurativi e sperimentazioni formali astratte; testimoniano le diverse fonti che hanno marcato i primi passi del giovane artista, tra cui le influenze dei nativi americani, con forme e segni stilizzati, un fresco approccio gestuale, i muralisti messicani, gli artisti europei d’avanguardia – in particolare Picasso – e i surrealisti. Jackson Pollock: The Early Years (1934-1947) vuole evidenziare l’intensità e la singolarità del lavoro nei primi anni di carriera di Pollock, dal 1934 al 1947, con prestiti provenienti da istituzioni internazionali come il Museum of Modern Art di New York, il Metropolitan Museum of Art, il Centre Pompidou, la Tate e lo Stedelijk Museum. Fino al 19 gennaio 2025.
Heinz Berggruen nasce a Berlino nel 1914, in una famiglia ebrea, si rifugia in California alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Alla fine della guerra, torna nel vecchio continente, prima in Germania come giornalista, poi nella sede dell’UNESCO a Parigi. Insoddisfatto, si fa guidare dalla passione e si insidia a piccoli passi nel mercato dell’arte. Inizia come mercante in una piccola galleria di Place Dauphine, si trasferisce poi in rue de l’Université, dove può dare libero sfogo alla sua passione: le arti grafiche degli artisti moderni. Guidato dai suoi gusti e dalle sue affinità, costituisce una solida collezione di opere del XX secolo intorno ai suoi due maestri preferiti: Picasso e Klee. Il percorso della mostra al Musée de l’Orangerie sottolinea soprattutto i gusti particolari e personali di Berggruen – tra cui ovviamente spiccano capolavori di Picasso e Klee – ma non meno importanza è data a Matisse o alle sculture filiformi di Giacometti. Fino al 27 gennaio 2025.
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