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Settimo Giorno: Gonzalo Borondo in mostra a MAGMA Gallery. Intervista all’artista
Mostre
di Emma Drocco
Sono più di sessanta i video distribuiti nelle cappelle della chiesa, il fine, narrare visivamente i sei giorni del mito della creazione, integrandosi e sovrapponendosi agli spazi architettonici e creando una conversazione tra patrimonio storico e creazione contemporanea.
Passato, presente e viceversa, un ballo che avvolge lo spettatore che si ritrova in un luogo che cessa di essere un semplice spazio per diventare un habitat, con atmosfere, ambienti, chiaroscuri, parole e suoni, mettendo in discussione la tradizionale separazione tra spettatore e opera.
«Dio non lavora con le mani, ma fa apparire il mondo intorno a sé attraverso la parola»
Le parole all’interno della mostra sono quelle della poesia di Ángela Segovia (Premio Nazionale di Poesia in Spagna), autrice dei frammenti di testo registrati che accompagneranno lo spettatore nella visita, insieme ai suoni velati della compositrice Irene Galindo Quero (vincitrice del Berlin-Rheinsberger Kompositionspreis).
Da dove nasce l’idea che ha portato alla presentazione di Settimo Giorno?
La mostra è nata da un’intenzione della galleria di lavorare in uno spazio fuori da quelli tradizionali, per me invece la mostra fa parte di un percorso che va avanti ormai da anni in cui interagisco con luoghi che hanno perso la loro funzione primaria o iniziale nella contemporaneità. Le mie opere creano una sorta di dialogo con gli spazi mettendo in luce da una parte lo spazio stesso e cercando dall’altra di aggiungervi un qualcosa.
Gli spazi scelti per “Settimo Giorno” sono quelli dell’Ex-Chiesa di San Mattia, come dialogano le opere con questi spazi particolari?
In questo spazio avviene un processo di stratificazione, c’è un livello ideale che è rappresentato dalle immagini in movimento formate dalla luce che si sottopongono ad uno spazio fisico, quello in cui è presente un vissuto storico, il passaggio del tempo, il materico. Così avviene una stratificazione di linguaggi di provenienza diversa che creano un terzo modo di percepirli. Tutti i video sono fatti per specifici spazi all’interno della chiesa, le pale d’altare, i capitelli, i fregi. Lo spazio, in questo caso una chiesa barocca, ha un’entità di base che è quella che deriva dal suo momento storico, il Barocco per la chiesa di San Mattia; quindi, anche nella forma che ho utilizzato, la video arte, anche se molto lontana temporalmente, ho cercato di mantenere quella ricerca di stupore presente nello stile architettonico, ricco di decori che andava oltre all’essere un mero riempimento estetico.
Il libro della Genesi e la video arte sono due elementi chiave della mostra, qual è il filo conduttore che li lega?
A livello concettuale ho svolto una ricerca sulla leggenda arcaica della Genesi che in qualche modo si presenta come un racconto appartenente ad una cultura comune dell’Occidente, e che, pur mantenendo una sua poetica, crea un’idea di come potrebbero essere nate le cose. In questo racconto ho trovato un punto di partenza, interpretandolo e aggiungendo un filtro poetico personale, narrativo che non ha nulla a che vedere con il racconto in sé. Nella mostra c’è continuamente un salto temporale tra una dimensione antica, del passato e una più attuale con prospettive future. Tanti video sono registrati con programmi digitali ma vengono poi sviluppati in modo analogico dentro la camera oscura, lavorati manualmente e poi rimessi nuovamente in proiettori, computer, quindi anche formalmente c’è sempre questo salto tra antico e moderno, creando qualcosa di nuovo in una sorta di ballo temporale.
Che posizione si trova ad assumere lo spettatore visitando la mostra?
Nella mostra c’è una ricerca di un qualcosa di binario, ci sono due dimensioni che creano un linguaggio nuovo, non sono due cose opposte ma sono due parte che compongono una terza realtà, lo spettatore si trova all’interno di un ambiente, un habitat, un’atmosfera. Quello che cerco di creare è un mondo che appartiene più ad una cultura antica, quello di utilizzare gli spazi come base artistica. Non mi interessa creare opere a sé, la mia intenzione è quella di far sentire questo spazio storico in un modo nuovo e lontano da quella convenzione passiva ma aprendo tramite questi suoni, video, riattivazioni della materia ferma.
Un progetto diviso su due sedi, anche negli spazi della galleria si possono vedere 11 opere d’arte inedite, come si collegano i due spazi?
Le opere in galleria sono state sviluppate subito a ridosso dell’immersione nei lavori video, quindi in qualche modo si collegano, ma a differenza dell’Ex Chiesa dove c’è un racconto unico, le opere invece sono un racconto a se, indipendente, ogni opera prova a raccontare qualcosa di diverso, non c’è un’unità, per quanto a livello formale siano fatte tutte con una tecnica simile. Il concetto del dualismo che si percepisce nella chiesa, ritorna anche in queste opere, perché c’è l’utilizzo del bianco e il nero puri, i quali, tramite una sovrapposizione di strati, creano i livelli di grigi, in una composizione molto articolata.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Tra poco inaugurerò un’altra mostra a Reggio Emilia dove interverrò su un palazzo storico, dopodiché a Parigi inaugurerò una mostra il 10 febbraio. A Rouen interverrò in uno spazio particolare, su un fiume, facendo un’opera site-specific che lavora con lo spazio dell’acqua. Al momento sono anche visitabili altre due mie mostre a Milano e a Villa von Stuck, Museo di Arte Contemporanea a Monaco di Baviera, lavorando con l’eredità lasciata da Yvonne von Stuck la cui villa è diventata parte del museo.