Cresciuta nel contesto rurale della Cina sudorientale, tra YouTube e MySpace, circondata da console Nintendo contraffatte, videogame piratati e CD ritirati dal mercato occidentale e importati in Cina per essere venduti sottobanco per tutti gli anni Novanta, Shuang Li ha fin da subito compreso come le tecnologie, seducenti agenti di intrattenimento, potessero fungere da vettore di profondo controllo sugli individui.
Ereditando la stessa natura interdisciplinare che caratterizza la somma opera di Li, Forever – la terza mostra personale di Li con Peres Projects e la prima negli spazi milanesi – mette in luce l’attrito tra biopolitica e corpo, desiderio digitalizzato e intimità tra le persone insistendo sull’imprescindibile slittamento tra esperienza virtuale e dimensione fisica dell’esistenza. Ognuno di questi concetti viene a combinarsi, dialetticamente e reciprocamente, fino a suggerire n collegamento estetico e concettuale tra il polo naturale e quello artificiale.
Un video proiettato sul fondo di una fontana a forma di cuore costituisce l’asse centrale dell’esposizione: si tratta di Heart is a Broken Record (2023), un montaggio impressionistico di video caricati su YouTube dai fan, ripresi durante i concerti dei My Chemical Romance negli ultimi vent’anni. Questa band emo pop-punk, che ha travolto il mondo dall’inizio degli anni 2010, ha avuto un significativo impatto sulla vita e sulla pratica di Li, come anche su quelle dei loro molti fan, che nel video ha raccolto brevi momenti prima che la band appaia sul palco alternandoli con immagini di schizzi di sangue che si trasformano in vene, linee endovenose, scintille che si trasformano in lava, mentre il video rinvia e sospende continuamente il suono che il pubblico attende con ansia di sentire. Visivamente sembra che nel fondo della fontana a forma di cuore – del tutto simile a un pozzo dei desideri – vada in scena un concerto mai avvenuto, composto da filmati di concerti realmente avvenuti.
Ma c’è di più. Shuang Li va oltre la semplice esposizione di un montaggio e indaga l’esperienza emotica dei fan, del fandom, muovendo dalla terminologia, a volte di genere, che spesso ha una connotazione di devozione sconsiderata e insensata. In Forever, intorno all’installazione video sono state realizzate delle opere murali in resina che congelano nel tempo vari oggetti effimeri e banali: ninnoli, gadget, tessuti e altri articoli personali sono intrappolati in stampi trasparenti, insieme a oggetti trovati che ricordano la fan art. Nelle opere compare la scrittura della stessa Li, contenuta in piccoli appunti che lei stessa racchiude nella sostanza traslucida. Molti degli oggetti non sono solo simboli della cultura pop punk, ma anche della fangirl e della fanciullezza in generale, che qui l’artista distorce per renderli ammuffiti e mutanti, e suggestivamente grotteschi. Raccolti insieme in una sostanza inquietante, questi vari frammenti rivelano come la posizione della fangirl sia quella in cui un’identità viene costruita e rafforzata attraverso l’attaccamento e l’associazione, agendo allo stesso tempo come un tipo di iconoclastia che sconvolge l’armamentario dei seguaci del culto.
Intorno alla fontana a forma di cuore, e ai piedi dei ciondoli e degli oggetti che fuoriescono dalla resina come se fuoriuscissero da uno schermo e diventassero la loro stessa forma, estendendo la ricerca sulla relazione tra corpo e schermo, è allestito un gruppo di sculture (alcune colate in cemento, altre ricavate da stampi di modelli 3D) di piedi e gambe semi-astratti, distorti e allungati, rivestiti di scalda muscoli a coste e stivali con plateau, che si rifà alla performance Lord of the Flies del 2022. Allora Li, che si trovava bloccata in Europa, non potendo raggiungere l’Antenna Space di Shanghai per la mostra Where Jellyfish Come From, mobilitò un team di venti performer surrogati vestiti in modo identico a lei per sostituirla. L’assenza di Li, come l’assenza di luogo, che sono dell’intimità digitale che si crea tra persone che vivono a grande distanza, di quell’occasione è riproposta, in forma diversa, in Forever: le opere enfatizzano l’assenza del corpo fisico suggerendone un’esistenza.
Con questo reenactment, che non è mera riproduzione ma un evento performativo in sé che diventa, quindi, una rap-presentazione, un ri-presentarsi, un intensificatore della presenza, Shuang Li conduce la sua indagine in un margine densamente ricco di possibilità che permette forme di espressione e di identificazione di mutare continuamente tra reale e virtuale, particolare e generale, vicino e lontano. E non è, forse, proprio questa incessante e ormai imprescindibile oscillazione a definire la vita nel mondo globalizzato iperconeesso?
Con Æther (Poor Objects) (2021), presentato alla 59a Biennale di Venezia Milk of Dreams, e con This Mirror Isn’t Big Enough For The Two Of Us (2023), ora in mostra alla Fondazione Prada di Milano nell’ambito della mostra Paraventi: Schermi pieghevoli dal XVII al XXI secolo, il rapporto tra corpo e schermo ha assunto nuove dimensioni, tanto che lo schermo ora genera il corpo fisico. E così, nel caso di studio del fandom messo in atto da Forever, che non sarebbe mai nato senza l’esistenza di schermi e piattaforme digitali, questa infiltrazione del regno digitale nell’incarnazione ha una risonanza ancora maggiore.
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