Ad ar/ge kunst, a nel centro storico di Bolzano, sono gli ultimi giorni per visitare la mostra “Silver Rights”, un progetto di Elena Mazzi (1984, Reggio Emilia) realizzato in dialogo con il capo spirituale, argentiere, attivista mapuche Mauro Millán e l’artista argentino Eduardo Molinari, con la curatela di Emanuele Guidi; un progetto reso possibile grazie al sostegno dell’Italian Council (VII Edizione, 2019).
La mostra, visitabile fino al 31 luglio, «è la prima fase espositiva che segue l’approfondito processo di ricerca dell’artista in Patagonia da anni al centro delle lotte, rivendicazioni e recuperi del popolo Mapuche.
“Silver Rights” si concentra sul legame ancestrale delle comunità con la terra (mapu) che è stato logorato e negato da forze colonizzatrici, mutate nei secoli per instaurarsi progressivamente negli ultimi decenni attraverso pratiche di chiara matrice neoestrattivista. Un processo di insediamento risultato della congiuntura di politiche di investimenti e accordi commerciali tra governi sud-americani e multinazionali straniere, tra cui l’italiana Benetton.
Più specificatamente, le opere in mostra ed il display stesso rispondono alla narrazione proposta dal Museo Leleque: un museo di stampo antropologico aperto nel 2000 proprio sui territori di proprietà Benetton. Un’operazione ambigua che liquida il popolo dei Mapuche come estinto invece che vivo e attivo sul territorio conteso, “musealizzandone” memoria e cultura materiale», si legge nel comunicato stampa.
«Ar/ge kunst è l’istituzione che ha fatto da capofila per il bando dell’Italian Council, vinto nel 2019. Abbiamo quindi accompagnato il lungo processo di ricerca e produzione che ha portato Elena Mazzi in Patagonia insieme al capo spirituale e argentiere mapuche Mauro Millán e all’artista argentino Eduardo Molinari, a lavorare sulle lotte del popolo mapuche contro l’espropriazione delle loro terre per mano di compagnie internazionali, tra cui l’Italiana Benetton. La mostra consiste in un’installazione complessa in cui il display, realizzato con Studio Gisto, tiene insieme una serie di materiali tra cui immagini, disegni, un percorso audio e la serie di sei gioielli in argento che costituiscono il nucleo del progetto. Il progetto rimarrà pressoché invariato nella forma ma è pensata per risuonare con i contesti, parlando ad esempio alle comunità indigene in Svezia, oppure alla BIENALSUR per rispondere alla collezione del Museo Udaondo a Lujan che possiede gioielli indigeni mapuche nella sua collezione».
«Elena ha conosciuto entrambi nel 2012 durante il suo primo viaggio in Argentina, e da quel momento sono state le due persone che hanno saputo indirizzare l’approccio di Elena, e di ar/ge kunst, in questo processo delicatissimo. Mauro Millán è un attivista consapevole ed è stata la figura chiave che ha permesso di realizzare una serie di workshop con le comunità che conosce e rappresenta, così da tradurre le loro istanze nella materialità dei gioielli. Eduardo Molinari opera da moltissimi anni in questi territori attraverso il suo progetto Archivo Caminante; insieme a lui, Elena ha costruito un lavoro comune che fa emergere la continuità tra la lunga storia di colonizzazioni e le pratiche neo-estrattiviste contemporanee».
«La “questione mapuche” è in parte già conosciuta e discussa in ambiti di attivismo politico, ma attraverso “Silver Rights” Elena ha saputo trovare l’approccio che fa riflettere sulle responsabilità delle istituzioni culturali e scientifiche, sul ruolo di un museo nella costruzione della storia e del presente. “Silver Rights” si concentra infatti sul Museo Leleque, museo di stampo antropologico voluto e fondato da Carlo Benetton nel 2000 per iscrivere una narrazione estremamente problematica su questi territori. A partire da questo, ci siamo tutti interrogati sul modo in cui volevamo presentare e rappresentare i gioielli che Elena e Mauro stavano producendo, su che tipo di percorso museografico fosse necessario e soprattutto a quale tipo di informazioni volevamo “esporre” gli spettatori stessi: i visitatori non possono accedere alla visione dei gioielli se non hanno completato un preciso percorso installativo e sonoro».
«La pratica di Elena da sempre si sviluppa attraverso forme di dialogo con gli interlocutori più vari, da artiste/i e così come scienziate/i, artigiane/i, attiviste/i. Un processo che lei stesso attiva per poi farsi guidare dagli sviluppi in modo organico e generativo. Lo stesso avviene per la relazione che instaura con le comunità con cui decide di, o è chiamata a, lavorare: c’è una costante ricerca di forme di mediazione che possano incarnare il processo di conoscenza reciproca e la produzione di un linguaggio comune. In “Silver Rights” questo avviene a più livelli non solo con Mauro Millán, Eduardo Molinari e le comunità mapuche, ma anche con l’associazione Ya Basta! Êdî bese! la drammaturga Enrica Camporesi, il designer Alessandro Mason di Studio Gisto, fino alla mia posizione di curatore che ha accompagnato questo progetto. E forse il libro pubblicato con Archive Books è la traccia più chiara delle molte voci che Elena ha ascoltato, accolto e che ha reso visibili nel rispetto del lavoro collettivo e alla ricerca di una forma polifonica».
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