Per la prima mostra personale negli spazi di A+B Gallery, a Brescia, Jacopo Mazzonelli propone con Soundproof una selezione di lavori da cui emerge l’interesse per le analogie che esistono tra le strutture musicali e le congruenze delle forme geometriche. La mostra, realizzata in collaborazione con la Galleria Studio G7 di Bologna e accompagnata da un testo di Jessica Bianchera, è pensata in due momenti, differenti e complementari: l’uno fonoassorbente, che lavora con i velluti, l’altro fonoriflettente, con materiali che appartengono alla creazione di Mazzonelli come cemento, tavole armoniche e avorio.
La prima sala della galleria accoglie un progetto realizzato ad hoc intitolato Elements book. Relazionandosi con l’antico fregio che contraddistingue lo spazio, Mazzonelli decide di lavorare con velluti da sipario di colori antichi. Con l’idea di avvicinarsi al gesto pittorico, cifra distintiva della programmazione della galleria di Dario Bonetta, lo strumento di lavorazione dei tessuti scelto è l’ustione. Maniera innovativa, sicuramente, ma anche assai efficace, dal momento che ogni opera, fotografata o guardata da una certa distanza, appare come un insieme di pennellate. Non si può prescindere, in questo caso, dall’azione: Mazzonelli, volutamente, accelera artificialmente un processo temporale che esiste nella natura dei tessuti. Non è forse quotidiano e, perché no, estremamente comune, assistere alla lisi delle fibre di ciò che indossiamo?
Che cosa siano le cinque opere in tessuto è la filosofia a suggerircelo. Si tratta infatti della riproduzione dei cinque solidi platonici: tetraedro, esaedro (o cubo) ottaedro, dodecaedro e icosaedro. Propri della storia della matematica astratta, Mazzonelli realizza questi solidi su un piano virtuale prendendo spunto dalla loro costruzione fisica. Come a dire che, se li riproducessimo disegnandoli su un foglio, potremmo costruirli. Il nome di ogni figura è derivata dal numero delle sue facce, rispettivamente 4, 6, 8, 12, e 20. Se Platone rinveniva in essi, associandoli ognuno a un elemento, la presenza di una razionalità superiore nascosta nella comune realtà, e assegnava loro la funzione di intermediari tra la perfezione del mondo e la mutevolezza dei fenomeni naturali, Mazzonelli riconduce l’intero processo di creazione all’armonia della musica. Ogni forma, con occhio accogliente, rispecchia di fatto una struttura in cui la dimensione verticale della musica si fonde con la melodia e il ritmo definendo delle simmetrie, dei particolari rapporti di forza tra i suoni che Mazzonelli traduce in una visione archetipica.
Il passaggio tra la prima e la seconda sala è accompagnato da una capsula telefonica racchiusa in un tubo di acciaio inox che, una volta che avvicineremo il nostro orecchio, ci restituirà le sonorità di un respiro. Un respiro che troppo spesso trascuriamo, che non udiamo, che crediamo silenzio e che invece si fa sentire. Mazzonelli è molto legato all’universo di oggetti che permettono ai suoni di generare un flusso – esso stesso sonoro – permeato di una memoria che chiede al nostro udito di ascoltare lontano nel tempo. Quest’opera è emblematica: il suono non è mai qualcosa di dato, agisce come un déjà-vu che è determinante nel comunicare e allo stesso tempo evocare nell’interprete o nel fruitore una determinata configurazione, sia essa sonora o visuale.
La seconda sala è sunto e insieme tributo alla ricerca di Mazzonelli degli ultimi anni, con sculture e opere a parete dalla forte tridimensionalità. L’armonia inizia con due opere in cemento, intitolate Volume e Polium, che giocano sulla doppia identità del termine volume: da una parte quello sonoro, dall’altro quello del cemento. Fortemente tridimensionali in termini di prospettiva, dall’unica direzione all’attraversamento, che cambia a seconda del punto di vista, le opere sono rispettivamente un’oboe e una tromba araldica, originariamente nell’antichità simbolo dell’annunciazione del potere – quest’ultima priva di una via d’uscita rafforzandone così la simbolicità misteriosa. La loro disposizione, a tutti gli effetti e con le parole di Mazzonelli, è a un’altezza antropomorfa che favorisce il dialogo uno a uno con lo spettatore. La scleta di chiudere questi strumenti antichi in un materiale contemporaneo come il cemento si pone in una relazione reciprocamente oppositiva all’impiego del velluto: il cemento è un materiale estremamente sonoro che amplifica, contrariamente al velluto che assorbe.
Abracadabra è un lavoro a parete che nasce dall’uso consueto che Mazzonelli fa dei pianoforti verticali originari del secolo scorso. L’opera è un vero e proprio paesaggio sonoro, in cui si può riconoscere la pressione dei ponti che sorreggono le corde percosse dei martelletti e producono il suono. Siamo di fronte a una tavola armonica che è alla base del suono, inscritta in un pentagono, su cui è incisa – seguendo la chiocciola della sezione aurea e in un passaggio magistrale da significato a significante – la parola, o suono, più diffuso al mondo: abracadabra. Centrale nel percorso espositivo, e anche la più architettonica, è l’opera Eptatonica, letteralmente sette toni: si tratta di sette pagine di album Vittoriani che idealmente rappresentano le sette note musicali e concretamente danno inizio, senza una fine, a un motivo leggero sullo sfondo di un teatro (la forma delle sette pagine richiama, non per caso, la forma dei palchetti). Chiude il percorso l’opera a parete, ma dal forte impatto scultoreo, della serie Antipiano.
Abbiamo bisogno di avvicinarci, molto, e poi di allontanarci fino a trovare il nostro punto di osservazione per capire che si tratta di tasti di pianoforte che Mazzonelli realizza togliendo i tasti neri del piano e ricostruendo superfici bianche inframezzate ritmicamente dall’inserimento del feltro. Possiamo perdere l’orientamento, forse dobbiamo, forse è consigliabile. Non è più e non è soltanto una riflessione musicale, ma ha a che fare con la folle convinzione del tempo attuale di poter stoppare il tempo, mandarlo avanti e frazionarlo. Ecco sintomatica è, in questo senso, per fare tesoro di quello che vediamo, l’opera Eject, tre forme in velluto da sipario proiettate su piano ortogonale di 45 gradi per ottenere un effetto di tripla tridimensionalità.
Cosa è davvero il suono? Lo immaginiamo come qualcosa di trasparente, invece è materia, è invadente. E con Soundproof Mazzonelli vince, con grande bravura, la sfida di fare sound art senza il suono, lasciando che sia la sua tridimensionalità a far rumore.
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