Non convenzionale, provocatorio e liberatorio: l’incontro tra Enrico Castellani, Jannis Kounellis e Chiara Lecca – curato da Lóránd Hegyi per la Galleria Fumagalli nell’ambito del programma MY30YEARS – Coherency in Diversity per omaggiare i trent’anni di direzione della gallerista Annamaria Maggi – sovverte, in maniera del tutto creativa e sorprendente, i tradizionali esempi dell’arte degli anni ’60, ’70 e ’80, rivelando nuovi possibili parallelismi e scambi estetici e intellettuali.
«Non voglio scavare nel passato per piacere archeologico – anche se sarebbe potuto essere – ma perché il passato ha una realtà che ci condiziona nel profondo. Se poi lo si porta lentamente in superficie, è pieno di possibilità». Non è una citazione qualunque, questa di Jannis Kounellis, ripresa da Theories and documents of contemporary art di Kristine Stiles & Peter Howard Selz, anzi, tra tante sue affermazioni, questa tende a suo modo la mano per condurre verso una mostra che viene in superficie, ricca di possibilità, in uno spazio come luogo come palcoscenico: Spaces as Places as Stages, appunto. Ciò che lega opere della collezione, come i cappotti di Kounellis e le estroflessioni proiettate verso lo spazio di Enrico Castellani, e i lavori un’artista più giovane, come in questo caso le sculture di Lecca, è la testimonianza di un valore non solo dell’oggetto bensì del vissuto di cui l’oggetto è carico e portatore.
Ecco cosa intendo. A proposito delle esposte Grey Cave e Black Cave di Chiara Lecca, mi sono imbattuta in un ricordo che l’artista stessa ha condiviso su un suo profilo. Dice: «Queste foto (che la ritraggono all’opera di Grey Cave, ndr) risalgono al 27 maggio ma tutto è partito da un materiale dal grande potenziale evocativo. Ho immaginato questa scultura nel 2020 quando, grazie a Vittorio Alpi ho avuto tra le mani alcuni blocchi di legno Alpi. L’ho in parte realizzata l’anno successivo (…) poi è tornata in studio ed è cresciuta ancora: modulo dopo modulo si è presa tutto il tempo necessario. Era con me anche a maggio, durante l’alluvione in Romagna, ed è in questo frangente che ho aggiunto le extension alla ricerca di fluidità. L’acqua scorreva ovunque e in fondo Grey Cave racconta l’architettura del sottosuolo, fisica ma anche emotiva».
Dal legno, di origine naturale e ricostruito industrialmente con un gioco di tinte e texture che mettono in difficoltà la distinzione tra natura e artificio, all’uso di elementi animali – trattati con tassidermia – o umani, è indubbia la propensione di Lecca verso una caratteristica alterazione semiotica che all’interno della mostra si incontra e si tocca con qualcosa che va oltre la semplice descrizione di ciò che è. La stessa installazione di Jannis Kounellis, Senza titolo, che si estende sulla parete per oltre 8 metri di lunghezza e 3 metri di altezza (8.65 x 3.53, per essere precisi, in accordo con l’allestimento originale del 2009 e con l’Archivio Kounellis) non è soltanto una griglia metallica da cui pendono cappotti scuri ma è una vera e propria rete di relazioni segrete, carica di volontaria indeterminazione simbolica, a cui corrisponde un’intensa suggestione metaforica: l’uomo ha deposto i propri abiti, di lui non resta nulla: solo la sua mancanza, la sua assenza.
Il dispositivo dell’opera di Kounellis, e più in generale di Spaces as Places as Stages è di indubbia natura teatrale, volendo portare all’evidenza che si tratta di opere non performative ma potenzialmente dirette a una serie di azioni. Anche la Superficie Bianca e Superficie Rossa di Enrico Castellani? Assolutamente si, sono del resto animate da una forza che dall’interno dell’opera preme estroflettendo la superficie. In gioco non sono segni ma forze, non rappresentazioni ma grandezze che trionfano in un vero e proprio teatro di forze, cromatiche e coreografiche.
La convivenza di Castellani, Kounellis e Lecca è in, ultima battuta, una scommessa (vinta). Dialogano nel territorio della libertà, benintesa in termini inquieti e radicali, all’interno del quale non è facile stabilire se il funzionamento di Spaces as Places as Stages dipenda dai nostri processi percettivi o li disturbi perché la modalità con cui viene immaginata o semplicemente agita influenza direttamente la nostra posizione rispetto a essa.
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