Quando ancora tutte le grandi mostre della nuova stagione non erano ancora aperte a Parigi, il Musée Marmottan Monet ha richiamato, già dal 12 settembre, numerosi visitatori con “Mondrian figuratif”, tra le mostre da non perdere se vi trovate nella capitale francese, in questi giorni di FIAC, in apertura domani, 17 ottobre. In moltissimi hanno aspettato in fila, davanti al Marmottan, per vedere per la prima volta un Piet Mondrian naturalista, i suoi “non famosi” dipinti giovanili. L’olandese più conosciuto dopo Vincent Van Gogh è il padre della pittura astratta moderna, dove una geometria di quadrati rossi, blu e bianchi separati da linee ortogonali si è aggiunta alle opere delle avanguardie europee del primo ventennio del 1900.
È possibile che un genio creativo così poco figurativo abbia cominciato la sua carriera con qualcosa di fortemente accademico, come una serie di paesaggi? Il titolo della mostra “Mondrian figuratif” ci fornisce la risposta. Mondrian ha iniziato la sua carriera come quasi tutti i suoi conterranei olandesi, prendendo ispirazione dalle terre in cui è cresciuto, a contatto con mulini a vento, colline rigogliose e bacini d’acqua. Il partenariato con il Kunstmuseum dell’Aia ha portato al Musée Marmottan tutti i quadri esposti, dalla lepre morta del 1891 della prima sala – la tipica natura morta fiamminga che mai ci aspetteremmo dal futuro fondatore della corrente moderna neoplasticista – al Girasole morente del 1908, riconoscibile per i colori forti che un girasole non potrà mai possedere e così vicino a Van Gogh. Il Kunstmuseum dell’Aia possiede questo fondo sconosciuto per via di Salomon Slijper, l’unico mecenate che, all’inizio di carriera di Mondrian, tra il 1915 e il 1920, ne comprò le opere.
Il realismo dei mulini a vento e della bellissima collezione di fiori che Mondrian vendette al mercante anticipano la trasformazione verso l’astrazione mediante l’uso di colori violenti che si allontanano sempre di più dalla realtà visibile. La mostra mette in risalto il rapporto tra il pittore e Slijper, destinato a finire quando Mondrian gli oppose il rifiuto di continuare a ritrarre la realtà che lo circonda per dare vita a quadri cubisti prima e poi astratti.
Il percorso espositivo, costretto a svolgersi in sole sette sale dall’infelice disposizione a corridoio, è animato da una scenografia ambiziosa. I pannelli, dai colori primari ripresi direttamente dalle composizioni astratte della maturità, sono delle vere e proprie superfici su cui si ripetono elementi decorativi ortogonali. Questi ritagli permettono di incorniciare i testi accanto ai quadri e soprattutto di ricordare ai visitatori quanto il periodo figurativo e quello moderno di Mondian non siano in antitesi bensì complementari, anche nello stesso apparato scenografico. Gli angoli dipinti di bianco dei pannelli che ricostruiscono gli assi perpendicolari dei quadrati mondriani sono enfatizzati da una luce integrata in alto del pannello. E il risultato di una scenografia più raffinata, dalla gamma cromatica più originale rispetto alle solite tinte color pastello che vediamo in tutte le scenografie delle mostre con lo stesso soggetto (gli Impressionisti, le Avanguardie del Novecento).
Lo stesso museo non aveva brillato per una la scenografia della sua mostra precedente, “Collections privées, des Impressionistes aux Fauves”, ma aveva avuto il merito di riunire tanti capolavori, per lo più sconosciuti, da collezioni private di tutta Europa. Per la prossima esposizione, “Cézanne et les maîtres italiens”, prevista dopo la chiusura di “Mondrian Figuratif”, prevista per il 26 gennaio 2020, il Marmottan riuscirà a superarsi nei due aspetti di forma e contenuto? Staremo a vedere!
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