Speciale Parigi FIAC: al Musée Jacquemart, italiani dal ‘200 al ‘600

di - 15 Ottobre 2019

Il 13 settembre, al Musée Jacquemart Andrè, si è inaugurata la mostra “La collezione Alana”, a cura di Carlo Falciani, dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, e Pierre Curie, conservatore del Museo. L’iniziativa, veramente encomiabile, di portare in Europa una sessantina di opere di arte italiana risalenti a un periodo compreso tra il ‘200 e i primi del ‘600, appartenenti a una collezione privata statunitense ricca di capolavori spesso mai visti, è un’avventura interessante per diversi aspetti. La mostra ha l’obiettivo stimolante di mettere a confronto, sia in termini di scelte di acquisizione che di allestimento negli spazi residenziali, le impostazioni, da un lato, della collezione raccolta tra il 1864 e il 1912, nel cuore della Parigi haussmanianan dai coniugi Jacquemart, il banchiere Edouard André e la moglie Nélie, dall’altro, della coppia dei nostri contemporanei Alvaro Saieh e Ana Guzman – la sigla Alana nasce dalla fusione delle iniziali dei nomi dei due collezionisti – avviata alla fine del novecento a Newark, a metà strada fra New York e Washington.

Per entrambe le collezioni, le scelte di acquisizione sono state condizionate dalla disponibilità e, ovviamente, dalle fluttuanti quotazioni del mercato ma, certamente, appaiono sempre motivate da cultura e sensibilità artistica. La raccolta d’oltreoceano conta circa 350 opere catalogate da storici dell’arte in preziosi volumi, acquistate per lo più nelle aste internazionali, spesso con il supporto di studiosi come Miklós Boskovits.

Ciò che accomuna le due esperienze, oltre alla scelta di campo – l’arte italiana dal ‘200 ai primi del‘600, appunto – è il gusto per un allestimento “privato”, che affianca le opere non per criteri museografici ma secondo i propri gusti, le passioni e l’affezione, in una modalità che si rifà alle sale tappezzate di opere nelle regge-museo, per gli ospiti francesi in un palazzo di rappresentanza ottocentesco, mentre per gli americani in una villa contemporanea.

È anche interessante comparare, piuttosto che la qualità delle opere, il loro stato di conservazione. Nella residenza francese, ciascun’opera e l’immagine complessiva sono smorzate dall’understatement proprio di una ricchezza consolidata, mentre i pezzi scelti della collezione Alana risplendono nelle ripuliture dei precisi restauri di laboratori italiani e abbagliano, in modo ancor più evidente, al confronto con il morbido Cristo Redentore di Cosimo Rosselli del 1490, unica opera nella sua stesura originale mai intaccata che ancor più commuove.

In tal senso, prendere visione e conoscenza di capolavori tutt’altro che minori e misurare la qualità della conservazione di un patrimonio artistico, pur sottratto al controllo e alla fruizione pubblica, è certamente motivo di consolazione.

La prima sala ripropone la densità espositiva degli ambienti della villa americana nella quale gli accostamenti sono molto personali, dettati dal gusto e dalle emozioni dei proprietari che hanno affiancato artisti e scuole sulla base della fascinazione che hanno subito. Nelle altre sale l’allestimento segue il principio tradizionale dello sviluppo cronologico, dai Primitivi trecenteschi alla pittura veneziana cinquecentesca.

Nell’insieme e singolarmente, le opere suscitano stupore e interesse per la sorpresa della scoperta. Fra le tante, seguendo l’onda dell’emozione, val la pena segnalarne qualcuna, come la Madonna e il Bambino eseguito da un giovane Paolo Uccello (verso il 1433), la Storia di Coriolano di Giovanni di ser Giovanni detto lo Scheggia (verso il 1460), il Piccolo altare portatile del Franciabigio (1510) e appartenuto al cardinal Borromeo, e ancora Sant’Ubaldo e san Frediano di Filippino Lippi (1496).

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