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Terra! Stefano Cescon approda da Gaggenau, a Milano
Mostre
I Nativi americani proverbiavano che la terra non appartenesse all’uomo ma, al contrario, che fosse l’uomo ad appartenere alla terra. Se le tracce di appartenenza sono di difficile reperibilità, il passaggio invece, quello sì, è assai rintracciabile. Stefano Cescon, vincitore dell’ottava edizione del Premio Cramum e protagonista del terzo appuntamento del ciclo “Materiabilia” promosso da Gaggenau e CRAMUM, è passato su(lla) Terra(!) e affida la sua testimonianza attraverso la geniale invenzione di una nuova tecnica che fonde la pittura con la scultura grazie alla cera e alla paraffina.
Se Cristoforo Colombro esclamava “Terra! Terra!” dopo settimane di navigazione, vedendo da lontano per la prima volta l’America, Terra! è anche l’esclamazione entusiasta di Cescon all’approdo a uno stile pittorico materico e a tratti informale, che inverte la rotta per intraprendere una nuova via che gli permetta di ripensare il ruolo stesso della pittura.
In mostra da Gaggenau non dunque semplici opere ma un vero e proprio nuovo lessico artistico, che unisce passato e presente e si basa sulla fusione di linguaggi diversi. Nel percorso espositivo le opere raccontano di un fare originale e primigenio che non si assomiglia mai. Proprio, verrebbe da dire, come Roland Barthes, e tutti noi. Il ritmo con cui lavora Cescon, perché di ritmo si tratta, viene dal suo modo di lavorare, viene da ciò che produce.
Certo, c’è un controllo, c’è un ritmo predeterminato, che segue fedelmente. Ma può anche cambiare durante la lavorazione, non deve essere necessariamente primario. Cambiando, ovviamente, muta l’effetto generale del lavoro: nel mutamento del ritmo esiste il cambiamento di superficie, di immagine che esce fuori. Accade anche se il ritmo è predeterminato. Non è detto infatti che il risultato sia corrispondente al pensiero iniziale. Cescon approda all’astrazione e raggiunge il passo precedente a quello del non ritorno, quello della monocromia, come se di riprodurre qualcosa che esiste già e che poteva essere guardato non vi fosse bisogno alcuno.
Le opere, piccole o grandi, di dimensione geometrica sembrano allettare circa la necessità della geometria come forma portante di qualsiasi figurazione, non determinata da ciò che appare bensì da ciò che costruisce quest’apparenza. Se ogni cosa ha una geometria che la sottende, allora è legittimo un nuovo modo di intendere lo spazio. Le scoperte della materia e della scultura sono state come nuovi occhi di Stefano Cescon che ha fuso le due dimensioni creando opere ambigue e indefinibili che navigano tra la pittura e la plasticità.
La cera è stata uno dei primi materiali impiegati nella pittura, a cui Cescon ha saputo trasferire tridimensionalità, realizzando opere che non sono semplici quadri, ma materia che si proietta nello spazio, dando nuova linfa alla ricerca sull’estroflessione di Mazzucchelli e Castellani.
Di fronte a sedimentazioni calcaree o marmoree, questo la nostra mente immagina, frutto di un processo chimico che non permette mai di prevedere un effetto estetico preciso l’uniformità cui siamo portati a rispondere e la percezione cui tendiamo ad aggrapparci viene meno. Ogni opera si compone di velature veloci, non rinunciando a delle vere e proprie dissonanze. Sono immagini istintivamente ricercate, come una vera e propria scrittura ritmica che non è semplice urgenza espressiva bensì una forma d’arte evoluta. Immagini che ci si danno per accostamenti di colori, favorendo l’incontro tra opacità e brillantezza in cui è costudito quell’ideale, armonico e discordante, della bellezza.
Non interpretando, bensì vedendo cosa è e perché è, non cosa significa, possiamo davvero vedere le opere di Stefano Cescon. E raggiungere Terra!