L’osservazione lenta, lo scoprire poco a poco i diversi dettagli e lavori che punteggiano le sale, il lasciarsi avvolgere da ciò che resta per riflettere su ciò che abbiamo perso: sono questi i prerequisiti per immergersi a pieno nell’esposizione STOP more FEEL more. La mostra, curata da Niccolò Giacomazzi, si svolge nella cornice del nuovo progetto Venezia incanta, promosso da Radisson Collection Hotel.
Il titolo stesso, un gioco di parole in bilico tra inglese e dialetto veneziano, è un invito a fermarsi e a concentrarsi almeno per qualche istante sui nostri sentimenti e sulla nostra immaginazione per ricavare nella frenesia del quotidiano uno spazio di pura contemplazione. Spiega infatti il curatore: « Il titolo (…) suggerisce un’esperienza di ascolto più profondo: in inglese invita a fermarsi per percepire di più, mentre in veneziano ‘more’ evoca un legame affettivo, una dimensione intima e personale che arricchisce il significato dell’esposizione ».
Anche l’allestimento, giocando su un susseguirsi di pieni e di vuoti, pare spronarci a muoverci con calma e attenzione nei ricchi spazi di Palazzo Nani. Al primo piano, infatti, le tele di Jingge Dong, con le loro velature morbide e i colori leggeri sembrano quasi mimetizzarsi tra gli stucchi, tra gli affreschi e tra i preziosi arredamenti del palazzo. Eppure sono lì: richiedono la nostra attenzione, ma con discrezione.
Si tratta di rappresentazioni di ambienti spogli in cui compaiono volti diafani, fiori, uccelli, frutti… Sono lavori onirici, in cui è infusa tutta la spiritualità di Dong, che con la sua pittura vuole mettere in evidenza la perdita di valori della società contemporanea, direttamente proporzionale all’incedere del progresso tecnologico.
« A che cosa hai rinunciato per avere ciò che hai? » sembrano chiederci i giocattoli abbandonati e i satelliti lucenti che spuntano nei lavori esposti. E ancora: « Hai forse dimenticato i miti che ti hanno cullato per nuovi eroi e nuovi desideri? ».
Al secondo piano del palazzo sono invece le opere di Matilde Sambo ad intessere uno stretto dialogo con i dettagli dello spazio espositivo. Piccole sculture bronzee rappresentanti frammenti anatomici punteggiano così l’ampio salone, mentre, alle pareti, i disegni della serie Sfiori (2024) narrano una storia di tensione interiore, di corpi che mutano ed evolvono dando origine a qualcosa di straordinario.
Bellissima è poi la sua installazione Distrazione al pericolo (2024): una lunga scia di spine d’acacia che si erge dal pavimento al soffitto e su cui sono adagiate, leggiadre, microfusioni in bronzo di crisalidi di cicale. Anche questi involucri vuoti ci parlano di corpi che si espandono, di una pressione che dall’interno spinge verso l’esterno, ricordandoci quelle che sono le tematiche privilegiate dalla Sambo. Essendo essenzialmente dei negativi naturali, inoltre, le crisalidi sono prova concreta di ciò che viene lasciato indietro nel processo di evoluzione.
Proprio qui, allora, le opere di Dong e della Sambo trovano un punto di incontro: nonostante le differenze formali, entrambi gli artisti ci chiedono di riflettere sulla mutevolezza di ciò che ci circonda, sul costante progresso che plasma i nostri corpi e la società in cui viviamo. E così le melagrane senza semi di Dong si fanno specchio della crisalidi bronzee della Sambo.
STOP more FEEL more, dunque, ci conduce in un viaggio meditativo, in cui la bellezza visiva si intreccia alla consapevolezza del passaggio del tempo, ricordandoci che ogni passo in avanti, ogni progresso, porta con sé una rinuncia e si lascia alle spalle tracce visibili, che meritano di essere osservate e comprese.
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