«Ho immaginato di trasformare l’oratorio nel rifugio di una persona, di un chiunque, che cerca rintanarsi da un mondo in collasso dentro un piccolo mondo sicuro. Ho voluto immaginare di dargli queste opere per dargli la possibilità di proteggersi e per minacciarlo, per fare in modo che gli spifferi di rovina che entrano dal mondo esteriore continuassero ad agitarlo nonostante i suoi tentativi di zittirlo»: inizia così la narrazione della Storia di un onest’uomo di Luca Monterastelli, ora vivibile nell’Oratorio San Filippo Neri.
L’Oratorio – inaugurato nel 1733, trasformato in una caserma militare nel 1866 e poi divenuto proprietà della Curia bolognese nel 1905 – fu segnato pesantemente dal secondo conflitto mondiale, durante il quale (nel 1944) fu bombardato e distrutto quasi completamente. Il restauro affidato a Pier Luigi Cervellati storicizzò la ferita bellica, come prova la ricostruzione delle volte e della cupola con un’armatura in legno con cui la trama narrativa di Storia di un onest’uomo ha un legame silenzioso e sacrale.
Alessandro Rabottini, curatore della mostra, parla infatti di «brandelli di armature al di là della storia perché la storia hanno attraversato» riferendosi alle sculture – tutte site-specific – che Monterastelli ha realizzato «in ferro, appoggiate sui loro stessi sostegni, plasmate sul corpo. Un corpo – prosegue l’artista – che mentre asseconda la tenera necessità della protezione, dimentica la sua vecchia libertà di movimento». Questo corpo, che qui si dà per sineddoche, è un corpo scultoreo, fatto di acciaio, modellato sull’idea volumetrica delle spalle, del torace, dei gomiti e del viso di un uomo, onesto, che è tanti ed è nessuno. Non è infatti un corpo mancante, né un’armatura vuota: è invece un corpo militarizzato, che cerca difesa, riparo e rifugio dalle guerre, che fino a ieri sono state tante ma tutte lontane mentre ora sono vicine, e uccidono anche anche tanti civili, fra aggressori e aggrediti, esseri umani incolpevoli. Ecco, l’onest’uomo di Luca Monterastelli, vive questo tempo presente, dopo aver abitato altri secoli, nutrendosi dell’allerta e del pericolo che insidiano la contemporaneità travestiti da fantasmi e minacce veloci e inarrestabili.
Nella penombra che poche luci illuminano, come un lampo, ccome un colpo d’occhio, le scompaginate file di sedute erette come barricate fanno da cornice alla storia dell’onest’uomo che mostra lo specchio di quello che siamo o che rischiamo di essere: delle persone, dei chiunque, che hanno un bisogno profondo di umanità, di sentimenti e di relazioni vere. «Ogni cosa finché dura porta con sé la pena della sua forma, la pena d’esser così e di non poter essere più altrimenti», scriveva Luigi Pirandello in Uno, Nessuno, Centomila evidenziando il contrasto tra forma e sostanza, tra involucro e contenuto, tra guscio e uovo, per dirla con il protagonista di Il giuoco delle parti. Siamo così arrivati alla fine della Storia di un onest’uomo e se esiste una morale, questa potrebbe essere che siamo costituiti di un’unica entità, ma ci destreggiamo tra una parte esteriore, cristallizzata, un fardello che trasciniamo nella relazione con noi o con il prossimo e una interiore, costituita dalla vita, dalla sostanza, dal flusso che scorre al di là della forma. E nell’alternanza di equilibri non sempre stabili e felici scorre la nostra esistenza, che talvolta sentiamo pesante, quasi fossimo costretti a portare con noi una vera e propria armatura, sempre in bilico tra protezione e controllo, limitazione e cristallizzazione.
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