Molti dei significati più importanti delle pratiche dell’uomo possono essere ricollegati al gioco, perchè è questo che sin dalla più piccola età ha spinto verso le scoperte e le nuove conoscenze. Nel gioco è inoltre presente la pratica più pura e più libera che appartenga all’essere umano e che da sempre lo accompagna nel corso della sua vita, attraversando le sue stesse età e aprendogli orizzonti spesso inesistenti: l’immaginazione.
L’arte può assumere i valori e le regole del gioco, rendendo più accessibile persino all’artista la trattazione di tematiche importanti e spesso drammaticamente verificate, sentendosi coinvolto non soltanto fisicamente, ma mentalmente, immaginando –e dunque prevedendo– scenari possibilmente legati al mondo reale.
Immaginare scenari attualmente irreali, come futuri postapocalittici e società sopravvissute all’imminente e irreversibile cambiamento climatico, è parte integrante del lavoro di Tamás Kaszás, in cui si combinano cultura e selvaggio o sopravvivenza e scienza popolare. La sua mostra personale “Postcontemporary Outsider (The Last and Found Collection)” presso la Galleria Massimo Ligreggi di Catania, accompagnata da un testo di Salvatore Lacagnina, non intende richiamare fisicamente uno scenario in cui sia possibile addentrarsi per scoprirne gli eventi, bensì gioca alla simulazione di un ritrovamento che costituisce una singolare collezione di opere d’arte.
L’artista gioca a nascondere il proprio operato e presenta i lavori “ritrovati” di cinque artisti vissuti in una immaginaria comunità neotribale, che per via di un disastro non esplicitato si è pressoché estinta. Le opere, primitive nell’aspetto e nei materiali, sarebbero il frutto di sofisticate invenzioni che testimoniano l’esistenza di questa comunità, facendo credere davvero ad un ritrovamento fortuito del quale l’artista si è appropriato per arricchire la propria collezione e quella del gallerista. In questo gioco in cui si immaginano un tempo imprecisato e una società sconosciuta all’interno di una galleria, l’artista afferma automaticamente la veridicità della sua storia ed evidenzia come questa possa essere molto recente, prossima o tristemente attuale.
A quale disastro allude Tamás Kaszás? A raccontarcelo sono le opere, i materiali nuovi che le compongono, ma con accostamenti primitivi che lasciano spazio ad un’interpretazione libera riguardo l’utilità dell’oggetto e alimentando quel processo immaginifico che restituisce il valore di “arte” a ciò che viene osservato. L’artista non intende limitare la vita dell’opera, non la relega ad un dimensione aulica e inaccessibile, bensì lascia che questa possa essere estremamente terrestre, totalmente artigianale, composta da materiali di riuso che alludono ad una vita precedente, sia del lavoro stesso, sia dalla quale è stata recuperata.
Così tramite il gioco e l’immaginazione, l’arte continua a costruire visioni significanti, attraverso le quali è possibile cogliere messaggi d’allerta per il presente e per il futuro dell’uomo; più che mai tenere d’occhio grandi artisti capaci di unire arte e gioco, può essere di fondamentale importanza per una società contemporanea che non coglie seriamente le problematiche irreversibili che la riguardano.
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