All’interno della programmazione 2022 di Palaexpo, il progetto “Periferia dell’agonia” di Teresa Margolles è il quinto appuntamento del programma triennale “Dispositivi sensibili”, ideato da Angel Moya Garcia per il Mattatoio di Roma. Testimone di dolore e violenza, il lavoro dell’artista messicana suscita una riflessione volta a scuotere lo spettatore. L’invito è quello di abbandonare l’indugio e l’impassibilità, davanti a una società contemporanea a volte incomprensibile e il cui ordine sociale ed economico che quasi normalizza le morti violente. Curata da Angel Moya Garcia, “Periferia dell’agonia” comprende un’installazione ambientale che occupa l’intero padiglione 9B del Mattatoio e una serie di azioni che andranno a instaurare relazioni specifiche con la città di Roma.
Dentro un perimetro segnato da tende industriali di plastica rossa, “concepito come un corpo trafitto, ferito, accoltellato, attraversato e attraversabile”, su un grande tavolo retroilluminato si estende una tela lunga ventitré metri. È la tela che separa lo sguardo dei vivi dalla vista dei morti, dei loro cadaveri. In questo caso, corpi senza nome di persone che dal centro America sono andate verso la frontiera degli Stati Uniti, morti assassinati. «Persone senza nome che sperano di essere riconosciute, persone senza documenti che vengono dall’Honduras, dal Guatemala, da El Salvador. Sono persone che fuggono da problemi locali, come la persecuzione delle donne trans, persone che hanno cercato di trovare il sogno americano negli Stati Uniti e che hanno trovato la morte durante il tragitto» – spiega Teresa Margolles.
La ricerca dell’artista messicana si concentra sulla documentazione della violenza subita da tante persone, spesso soggetti fragili, nella zona di confine tra Messico e Stati Uniti. È lì che si trovano le maquiladoras messicane, grandi stabilimenti industriali gestiti da aziende perlopiù americane che hanno scelto la collocazione in questo luogo per i vantaggi che traggono dal NAFTA, un accordo di libero scambio tra Messico, USA e Canada. Con lo sviluppo economico, il Messico ha visto un’importante crescita del lavoro femminile nelle maquiladoras: donne alla ricerca di una dignità, sulle cui spalle spesso grava il peso del sostegno economico dovuto a tutta la famiglia.
Disparità di genere, femminicidio e criminalità organizzata caratterizzano il contesto sociale di questi luoghi, industrializzati ma allo stesso tempo abbandonati. Emblematica è la città di Ciudad Juarez, tristemente celebre per essere teatro di violenze scandalose le cui vittime sono soprattutto donne giovani, descritta infatti anche come “la capitale del femminicidio”. È verso questo contesto che Teresa Margolles vuole richiamare l’attenzione, facendosi testimone delle grandi ingiustizie del suo paese. «Quest’anno sono stati assassinati sei giornalisti in Messico, penso anche a loro quando faccio questo lavoro, come difendere la società civile?» – racconta l’artista.
«Come inauguri un’esposizione quando la mattina leggi della guerra in Ucraina? Siamo in un momento molto critico per l’umanità. A partire da una tela messicana possiamo riflettere a livello globale». Si tratta di una tela che in passato ha ricoperto i corpi senza vita che Teresa Margolles ci ricorda, distante dalla “strumentalizzazione melodrammatica o sensazionalistica” dei media. Tracce di fluidi compaiono su questa striscia bianca e sgualcita, segnata dalla sofferenza, come sineddoche di questa tragedia contemporanea che si svolge di fronte agli occhi di governi inerti.
Al di là della tenda di plastica rossa, un’iscrizione sul muro: “Vedere ascoltare e tacere”. Sono le parole che l’artista ha letto su di un corpo morto. Sono le parole in silenzio che Teresa Margolles riusa scandendole, ora dando loro un nuovo significato, ora dando loro un nuovo vigore, come con “Ya basta hijos de puta”, la mostra al PAC di Milano del 2018. Al Mattatoio, in “Periferia dell’agonia” anche un video in cui, nel padiglione 9B, una serie di persone sollevano la lunga tela di ventitré metri. «È una riflessione collettiva, soprattutto ora con la guerra in Ucraina. Nel video finale chi sostiene la tela sono artisti che lavorano qui a Roma che mi hanno aiutata. Quello che ho pensato è: fino a quando l’arte potrà sostenere questa tragedia? Noi la stiamo sostenendo a partire dall’arte, perché l’arte è la nostra trincea ed è il nostro mezzo».
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