Era il 28 febbraio 1959 e a Cipro l’Arcivescovo Makarios III, stava per tornare, dopo il suo esilio, accolto trionfalmente dalla folla di Nicosia: è qui che Theodoulos Polyviou ci riporta con Un Palazzo in esilio, il film d’animazione della durata di 16 minuti e 30 secondi, realizzato in collaborazione con Loukis Menelaou, che dà il titolo alla mostra personale ora in corso da Fondazion Elpis.
Appartiene a Polyviou l’utilizzo della virtualità e delle tecnologie a essa associate per studiare, ricostruire e colmare i vuoti all’interno del patrimonio culturale: anche in occasione dell’ultima edizione di Una Boccata D’Arte, per esempio, aveva realizzato una rappresentazione della misteriosa scomparsa, avvenuta nel 1628 a Fosdinovo, della statua di un Angelo Annunciante, compagno della celebre Madonna Annunziata dell’Oratorio dei Bianchi, e dell’altrettanto misteriosa comparsa, qualche anno dopo, nel 1676, di un’immagine dedicata alla Vergine: la Madonna del Rosario, della Chiesa di San Remigio. Con l’opera, una video installazione intitolata Rosa Mystica, Polyviou aveva inscenato una mutazione eterna fra i corpi scultorei della Vergine di San Remigio e di un Angelo che nel XX secolo ha preso il posto di quello perduto. Come allora, così oggi, Polyviou dà visivamente dimostrazione di come, sottraendosi a qualunque logica, sia essa dogmatica o nazionalistica, ogni suo progetto rifletta sul rapporto tra queerness, riparazione e reinvenzione, all’interno degli intrecci storici con cui si confronta.
Il contesto di Un Palazzo in esilio è quello cipriota: sono gli anni ’50 e l’isola è impegnata nella lotta per l’indipendenza dalla Gran Bretagna, fronteggiando i continui conflitti derivanti dalle tensioni etniche e nazionalistiche, quando Michaíl Christodulu Mùskos – attivo sostenitore dell’unione dell’isola alla Grecia – con il nome di Makarios III fu eletto Arcivescovo e dunque capo della Chiesa ortodossa di Cipro. In quel decennio l’arcivescovo avviò la costruzione di un edificio arcivescovile organizzando un concorso, il primo concorso di architettura sull’isola, che poi annullò, di fronte alle proposte finaliste, nominando un altro architetto e intervenendo in prima persona nella definizione di un nuovo stile architettonico detto neo-meta-bizantino.
Al piano terra della Fondazione sono esposti una serie di Dogmatic negatives, calchi architettonici, in fibra di vetro, che Polyviou ha recuperato in una manifattura di Nicosia ora dismessa, e che erano stati utilizzati per la costruzione del Palazzo Arcivescovile come anche per molte altre chiese di Cipro. Questi calchi, che pur appartenendo all’archivio personale dell’artista trascendono qualunque status storico o archivistico, fungono da negativi dogmatici. Salendo, al piano superiore, The symbol of life e il modello architettonico The Great Synod dialogano con la video animazione Un Palazzo in esilio. Polyviou, con la collaborazione di Menelaou presenta un progetto immaginario, di stampo underground, per il concorso degli anni ’50 ispirandosi alla lezione di Daskalos, guaritore cipriota attivo tra gli anni ’50 e ’90. Nel filmato storia reale e storia fittizia si mescolano esaminando i meccanismi di inclusione ed esclusione inerenti la costruzione del palazzo e il suo simbolismo, che inevitabilmente ha contribuito alla definizione di un senso di appartenenza, per qualcuno, e di marginalizzazione, per qualcun altro.
Nel sotterraneo di questo immaginario palazzo, nel video, compaiono alcuni dettagli che ritroviamo scendendo di due piani, al piano inferiore dello spazio che si apre con una serie di collage realizzati serigrafando giornali greci, britannici o ciprioti degli anni ’50 su materiali di costruzione stirati su telai di alluminio. Quei dettagli, che Polyviou fa notare che «è la prima volta che qualche elemento inserito nell’animazione digitale assume forma concreta nello spazio reale» – sono Σαρκά (scopa) e Temporary paschal stand. La prima opera è una scopa realizzata a mano con fascine di arbusti spinosi essiccati, collegata a un motore e programmata per battere a terra, sul pavimento, a intervalli regolari emettendo un potente suono e perdendo, a ogni colpo, i rametti. Questo lavoro, insieme ai collage, è sintomatico delle forze conflittuali dell’epoca, all’interno della comunità cipriota, tra potere coloniale, comunicazione mediatica e forza lavoro: quelle scope, negli anni di dominazione inglese, erano usate per fare le pulizie dagli addetti comunali a cui, figurativamente, Polyviou dà voce.
L’altra scultura, nel video e nello spazio, è un candeliere ricavato da materiali per impalcature e contiene ceri votivi religiosi prodotti in un laboratorio che si trova proprio di fronte al Palazzo Arcivescovile di Nicosia. Questo lavoro è sintomatico di una riflessione che Polyviou e Menelaou condividono a proposito della natura funzionale degli oggetti. Sono qualcosa che serve a qualcosa, che a prima vista viene assorbito in una finalità di usi, come direbbe Roland Barthes? Si, senza dubbio, ma la funzionalità, affermano Polyviou e Menelaou «è sempre caricata di significati spirituali». Un Palazzo in esilio si chiude con la stampa fotografica che Polyviou ha preso sul sito di Alamy e ha stampato lasciando in sovrimpressione i credits del database fotografico. La fotografia è stata scattata a Cipro e immortala la parete di un edificio abbandonato su cui compare la scritta “One day this nightmare will become“. Forse un sogno? Quel che è certo è che realtà e finzione continuano a mescolarsi: anche nei sottrenai di Un Palazzo in esilio capita infatti di leggere “One day this nightmare will become”.
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