Per il ponte della befana, proponiamo un itinerario alla scoperta di alcuni tra i luoghi più suggestivi di Perugia, attraverso due mostre d’arte moderna e contemporanea.
Perugia reclama un posto nell’alveo della pittura paesaggistica italiana. Con la mostra “Arcadia e Grand Tour. Paesaggi di Alessio De Marchis nella collezione Aldo Poggi”, ospitata dalla Fondazione per l’Istruzione Agraria in collaborazione con Università degli Studi di Perugia e col patrocinio di: Regione Umbria, Comune di Perugia, Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, Museo del Capitolo della Cattedrale di Perugia, viene proposta una straordinaria collezione romana realizzata dall’antiquario e collezionista Aldo Poggi e dedicata ad Alessio De Marchis, uno dei massimi paesaggisti del Settecento italiano.
Così la Fondazione prosegue nel lavoro di valorizzazione del suo patrimonio storico artistico – secondo per quantità e qualità solo a quello della Galleria Nazionale dell’Umbria –, attraverso una nuova esposizione che rimarrà aperta fino a lunedì 6 gennaio 2020, per la quale vengono proposti 35 dipinti dell’artista napoletano, che trovò rifugio a Perugia negli ultimi anni della sua carriera, fino alla morte avvenuta nel 1752. Fra questi anche il suo autoritratto, un bellissimo mobile dipinto (De Marchis ha avuto un’intensa attività anche in questo settore) e dieci opere di artisti che lo hanno influenzato: con alcuni capolavori di Gaspard Dughet, Philipp Peter Roos, detto Rosa da Tivoli, Johann Melchior Roos, Jan Frans van Bloemen, detto L’Orizzonte, Bartolomeo Torregiani, Andrea Locatelli, Paolo Anesi.
La mostra, già esposta in luoghi e contesti storici prestigiosi come Palazzo Chigi ad Ariccia, offre lo spunto per un excursus sulla pittura di paesaggio a Roma durante la prima metà del Settecento. Un genere che conosce notevole fortuna collezionistica, favorita dal fenomeno culturale del Grand Tour in Italia e connessa all’Accademia dell’Arcadia, che ebbe un peso nella pittura di paesaggio nel vagheggiamento di un rapporto idilliaco tra uomo e natura. De Marchis fu un paesista puro, che in conformità a un rinnovato e crescente sentimento della natura, volse il panismo seicentesco di matrice dughetiana in chiave sentimentale e di misurata partecipazione interiore secondo il principio oraziano dell’ut pictura poesis.
La mostra costituisce però anche un’occasione per riconsiderare le opere dell’artista presenti a Perugia. Ed è questo uno dei principali scopi che ha spinto la Fondazione a ospitare nei suoi spazi un’esposizione di questo tipo. La fase finale del suo intenso e accidentato percorso biografico, che conobbe anche un momento urbinate, si svolge infatti a Perugia (1739-1752) dove il pittore, aiutato dal figlio Eugenio, produsse una notevolissima quantità di paesaggi. Sette suoi dipinti appartengono alla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia mentre un ricco nucleo di quadri, ben 29, è posseduto dal Capitolo della Cattedrale. Le fonti perugine inoltre ci dicono che quasi tutte le collezioni private della città possedevano opere di De Marchis.
Dopo le grandi mostre dedicate a Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato (2017) e ai capolavori del Seicento in Umbria, terminata la scorso 30 giugno 2019, il complesso di San Pietro di Perugia propone dunque un nuovo appuntamento di arte, confermando la sua vocazione di polo strategico per le attività culturali di alto profilo, che potrebbe giocare un ruolo più che rilevante in un rilancio artistico ed espositivo del capoluogo umbro.
Un viaggio nel tempo e una ricerca della bellezza tra i volti che caratterizzano diverse epoche. È il lavoro compiuto da Massimo Pulini, artista e docente di pittura, da autentico flâneur, di Balzachiana definizione. Come «Un girovago o un poeta, un fannullone o un esteta, un sognatore o un realista», che esercita quella vera e propria disciplina associata al cammino, che definisce «gastronomia dell’occhio».
Il flâneur, scriveva Balzac, «bighellona senza una meta definita ma con un ideale altissimo, la ricerca della bellezza; una bellezza inedita, inaspettata e quasi intonsa da perseguire negli itinerari alternativi, o governati dal caso, fuori dalle rotte consuete». Ed è proprio cià che fa Pulini nella mostra di Perugia, nella sede già suggestiva del laboratorio di restauro di Carla Mancini collocato all’interno di Palazzo Bonucci: luogo ideale per ospitare il frutto della ricerca dell’artista e per allestire i dialoghi con opere del passato proposto da: “Flaneur: tra i volti del tempo”.
Quella di Pulini è una figura singolare di pittore e ricercatore storico, di scrittore d’arte, di docente d’Accademia, curatore di mostre e promotore della Biennale Disegno: osservatore, dunque, da differenti angolazioni dell’arte e della storia, e divulgatore, anche attraverso la sua opera pittorica. Nella mostra, approdata nel capoluogo umbro dopo il debutto di Rimini, l’artista mette in stringente e inusuale dialogo 18 opere storiche con altrettanti lavori dell’artista contemporaneo. Una passeggiata pittorica che parte da un Ritratto di nobildonna di metà Seicento, dovuto al pennello di Cristoforo Savolini, passando per un Cristo portacroce di un purista francese di primo Ottocento, fino a d arrivare a creazioni più recenti come la Matenità di Carlo Carrà, o il disegno di De Chirico fino a incontrarne uno attribuito a Egon Schiele, passando per un Gagà dipinto da Fortunato Depero e un Nudo femminile di Bruno Saetti. Vari volti e molteplici ritratti, che Pulini reinterpreta esplorando varie tecniche, da autentico virtuoso del pennello ma anche della materia. Dipingendo su lastre diagnostiche, su basi di rame o modellando materiali plastici, spesso contrapponendo stili p tecniche sulla stessa opere, costringendo l’osservatore a uno sguardo più approfondito dell’opera, quasi a dover scovare, a volte, il ritratto, per poi esserne catturato.
Grazie alla collaborazione con la Galleria Zamagni di Rimini e con la Galleria 56 di Bologna, Pulini ha compiuto una ricerca finalizzata a porre in dialogo e in relazione una serie di sue opere con testi storici che vanno dal Seicento alle avanguardie artistiche di primo Novecento. Partendo dalla convinzione che, in ogni epoca, l’arte del passato sia sempre stata lievito per l’arte del presente, ha cercato innesti e inneschi con opere di altri secoli, ancora vive e fertili di nuove letture e di infinite relazioni.
La presenza nello stesso palazzo della Fondazione Orintia Carletti Bonucci, oltre a quella, prestigiosa, del consolato di Francia, che ha concesso il proprio patrocinio all’evento, con la sua notevole galleria di pitture, ha poi ispirato anche altre relazioni di senso. Consentendo a Pulini di proporre alcune nuove attribuzioni a opere secentesche presenti nella collezione del Palazzo Baldeschi Bonucci, presentate durante la mostra nel laboratorio di restauro Mancini. Per un nuovo inizio e un nuovo volto del tempo.
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