Dal 2016, con un costante progetto di ampliamento e integrazione all’interno del “Consorzio di Cantieristica Minore Veneziana”, CREA – i Cantieri Del Contemporaneo – mira quotidianamente a preservare l’identità della città, il suo patrimonio di arti, mestieri e residenze, attingendo alla potenza proattiva del mondo delle arti contemporanee.
L’esposizione Contrappunto ben sintetizza questo stretto legame con la città lagunare, che ispira il lavoro di Giulia Mastrangelo. Infatti, appena varcata la soglia dell’area espositiva, veniamo travolti da Enarmonia, 2023, una parete infinita di parole composta da quarantanove riquadri che riproducono in sequenza le superfici di ogni palazzo dell’isola della Giudecca, da Zitelle al Mulino Stucky.
I colori vogliono infatti rievocare la panoramica cromatica della Giudecca, vista da canal Grande. Le parole a loro sovrapposte sono collegate da un gioco di contrari, che partendo da “animata” ci conducono a “opera originale”, riferimento a Sergio Bettini, che – ci racconta Giulia Mastrangelo – «nel suo scritto Venezia, la definiva “città originale” perchè interamente creata dall’uomo, come se fosse un’opera d’arte». L’installazione vuole portarci a riflettere e creare una discussione attorno al significato della città, ponendoci di fronte alle sue stesse contraddizioni.
Contrappunto si propone sia come un momento di riflessione attorno ai concetti di creativo, sia come critica nei confronti della città di Venezia, denunciandone i giochi di poteri che la attraversano, e che ne decreteranno la sua morte. Dalla parete Enarmonia, 2023 infatti emerge lampante la parola “infetta”, forse per suscitare nei visitatori un dibattito rispetto al futuro della città.
La seconda esposizione Turning time around di Daniele Fiori, curata da Pier Paolo Scelsi, si articola in 13 scatti fotografici. Essa, interrogandosi attorno a se l’identità di un luogo possa considerarsi esaurita con la conclusione dell’attività umana che lo caratterizza, o se continui a persistere in quanto esito di stratificazioni temporali e culturali, si configura come un’esperienza coinvolgente ed immersiva. La fotografia diventa dunque strumento per indagare la complessità dell’esistenza umana e della sua interazione con l’ambiente circostante, spingendo il visitatore a interrogarsi sulle connessioni profonde tra il tempo, l’uomo e il luogo.
Infine la performance Madonna della Pinna, realizzata dall’artista triestina Beatrice Donda, è focalizzata attorno al complesso rapporto tra uomini, donne e cibo.
Qui l’artista, ponendo l’attenzione al latte e alla sua simbologia, legata alla nascita e al materno, ha voluto analizzare il particolare rapporto che intercorre fra madre e figlia, colei che crea la vita e colei che la riceve. La performance, esito di una grande sensibilità, rappresenta un’opportunità di riflessione attorno alle dinamiche universali dell’esistenza. Beatrice Donda, scandagliando il nostro universo di sensazioni e emozioni, ci riporta al passato mostrandoci il valore del gesto dell’allattare, il suo significato e il suo stesso legame rispetto alle radici dei nostri comportamenti quotidiani.
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