A quarant’anni dalla pubblicazione di Musca depicta, uno dei volumi più originali ed affascinanti di Franco Maria Ricci, il Labirinto della Masone nel Fontanellato ospita una mostra ad esso ispirata. Dal 6 aprile al 30 giugno avrà luogo Musca depicta. C’è una mosca sul quadro, una grande esposizione dedicata al tema della mosca nell’arte, ai significati che assume e alle riflessioni che genera. Nelle preziose sale espositive del Labirinto, le curatrici Sylvia Ferino ed Elisa Rizzardi costruiscono un percorso tematico e non cronologico che accompagna alla fruizione di più di cinquanta opere, tra tele, disegni, sculture e volumi manoscritti e a stampa.
I materiali esposti coprono un arco temporale molto ampio, dal Trecento al contemporaneo; numerosissime le opere che importanti istituzioni, come le Gallerie degli Uffizi di Firenze, i Musei Vaticani di Roma o il Musée du Louvre di Parigi, hanno prestato al Labirinto per l’occasione e che figurano accanto a pezzi della Collezione Franco Maria Ricci. In queste sale convergono svariati lavori d’importanza storica che non si erano mai visti in dialogo tra loro, perdipiù su un tema così originale e trattato con grande raffinatezza e sapienza.
L’accurata indagine su cui si costruisce l’intera mostra esplora la presenza della mosca all’interno della storia dell’arte portando alla luce nuovi ed inaspettati significati che essa assume nelle opere, talvolta tutt’ora oscuri. Ad ogni modo la presenza di questo piccolo insetto incuriosisce e incita ad un’indagine visiva che porta ad instaurare con le opere un rapporto diverso dal solito, rompendo la canonica referenza da museo per innescare una nuova forma di partecipazione.
Nella prima sala espositiva la mostra si apre su ritratti, autoritratti e dipinti di carattere religioso. Tra le opere più significative vi è senza dubbio il dipinto di fine Quattrocento di Giovanni del Biondo, esemplificativo dell’interpretazione negativa che la cristianità ha dato alla mosca come simbolo di morte e di deperimento. La tavola quattrocentesca di carattere religioso instaura un dialogo originale e riuscito con la scultura Fear of Death (Full Skull) del contemporaneo Damien Hirst. Lo stesso racconto di morte, le stesse suggestioni di Giovanni del Biondo, ma con un linguaggio del tutto diverso e molto più impattante. È con centinaia di mosche morte, lavorate tramite resina, che Hirst costruisce un teschio di dimensioni reali; suscitando orrore e disgusto l’artista riesce a raccontare la precarietà e la nostra transitorietà nella vita; oltre ad essere simbolo di morte qui la mosca diventa eloquente simbolo di fragilità.
Svariate poi le opere di Maurizio Bottoni presenti in mostra, altro artista contemporaneo che raffigura la mosca all’interno di diversi suoi lavori. Il suo linguaggio pittorico iperrealista però non si piega alla stessa visione cupa e negativa legata all’imminenza della morte, il suo è piuttosto un monito, la presenza costante della fine rispetto cui l’arte sembra, nonostante tutto, porsi come superamento. Ecco allora che il dipinto Memento Mori propone una revisione del significato associato tradizionalmente al tema. Tuttavia, la mosca rimane, come un avvertimento, ad infastidire e disturbare, così suggerisce il suo grande dipinto che raffigura una vacca intenta a cacciare l’insetto con la coda.
Se la prima sala è un compendio di opere in cui la mosca si inserisce come elemento dalla forte valenza simbolica, la seconda sala in cui il percorso espositivo continua propone una serie di lavori dove la presenza dell’insetto ha una valenza puramente estetica. Le teche al centro raccolgono rari volumi manoscritti e a stampa: dalle illustrazioni scientifiche derivate dagli studi che il naturalista rinascimentale Ulisse Aldovrandi fece sulla mosca alla presenza di questo insetto in cornici dipinte su antichi libri religiosi. Sulle pareti, invece, numerosi dipinti del barocco olandese rappresentanti colorati vasi di fiori invitano ad una ricerca attenta di questo elemento estetico, qui usato per imporre un movimento vibrante ad una composizione altrimenti piuttosto statica.
Nella terza sala infine convergono diverse opere che utilizzano la mosca come simbolo di fastidio, come nella già citata tela di Bottoni che raffigura una vacca intenta ad allontanare l’insetto a colpi di coda, ma anche come elemento di disturbo visivo, è il caso dell’opera di Enrico Robusti, caratterizzata dalla tipica carica espressiva dell’artista.
Di grande impatto è poi l’installazione interattiva Portrait on the Fly realizzata da Christa Sommerer e Laurent Mignonneau. L’invito è ad un’interazione diretta con 10.000 mosche generate a computer che volano su un monitor e che si organizzano lungo i contorni dell’immagine del fruitore quando si dispone di fronte allo schermo.
L’intera mostra, che verte sulla mosca e sulle simbologie che assume, si chiude curiosamente con un’opera in cui questo elemento è assente, sostituito invece dalla presenza delle api. Si tratta di un dipinto di Orazio Riminaldi inserito a terminare il percorso espositivo come una tematica pacificante che permetta una revisione di gran parte della simbologia negativa e oscura legata alla mosca per aprire a riflessioni più propositive e vitali.
L’esposizione è arricchita da una colonna sonora commissionata appositamente per l’occasione al compositore Massimiliano Matesic. Dal titolo La Folie des Mouches, il brano è una rivisitazione in chiave contemporanea di una danza barocca di Georg Friedrich Händel. L’artista sfrutta il caratteristico ronzio della mosca per costruire un sottofondo musicale che contribuisce a fare della mostra un’esperienza immersiva, insolita e sorprendente.
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