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«Le immagini della Selbstbemalung di Günter Brus, l’autoritratto in cui si traccia sul volto bianco una linea nera che dal cranio attraversa il suo viso come una cicatrice, sono molto note e conosciute e sono diventate iconiche. Risalgono agli anni Sessanta, ma improvvisamente, negli ultimi mesi, ho cominciato a guardarle in modo diverso e mi si sono rivelate con una forza e un’attualità nuove, perché viviamo in un’epoca in cui ci sono divisioni, incompatibilità, disaccordi e una perdita del centro politico che è paragonabile a quella di quegli anni» così spiega Thomas Trummer, direttore del Kunsthaus Bregenz, l’attualità dell’opera di uno dei più grandi protagonisti della stagione dell’Azionismo viennese, Günter Brus (Ardning 1938, – Graz, 2024).
Il Kunsthaus Bregenz celebra l’artista, performer e scrittore austriaco in una retrospettiva, in corso fino al 5 maggio, che attraverso un corpus di oltre 500 opere abbraccia un ampio arco della sua produzione, dai primi lavori d’accademia degli anni cinquanta a una serie di acquarelli del 2022, perlopiù inediti. Lo stesso Brus ha collaborato al progetto espositivo fino all’ultimo, prima della sua scomparsa, avvenuta il 10 febbraio scorso, a pochi giorni dall’inaugurazione. C’è tutto il Günter Brus più noto, controverso e provocatorio degli anni d’oro delle scandalose Aktionen nella mostra a Bregenz, ma non solo. Dal percorso emerge la figura di un artista che, come disegnatore, scrittore e intellettuale, presenta anche lati meno aspri. Un po’ come se il gemito rabbioso dei primi anni si trasformasse progressivamente in una voce sarcastica, ironica, spesso anche poetica. Uno sviluppo, questo, che l’allestimento – di un equilibrio composto e adamantino, a cui il Kunstahus ha ormai abituato il suo pubblico – sa scandire in un potente crescendo. Una palpabile tensione attraversa i quattro livelli dello spazio espositivo ed è evidente fin dalle opere degli anni Sessanta, nate sotto l’influenza dell’astrattismo americano. Nella fase informale, dal 1960 al 1963, grovigli cupi e nervosi di linee nere pervadono la lunga serie di dipinti su carta, che sembra quasi incidere le pareti del Kunsthaus come un lugubre tatuaggio. Il pennello è come una frusta per Brus, mentre il quadro è un campo di gesti inquieti, aggressivi e incontenibili.
Un’urgenza di sconfinamento che spinge l’artista a far uscire materialmente la pittura dal quadro, e a fare del suo corpo una tela vivente. «Il mio corpo è l’intenzione, il mio corpo è l’evento, il mio corpo è il risultato»: recita una celebre frase di Brus, a proposito delle Aktionen. Dal 1964 al 1970 ne mette in atto 47, prima nel suo studio e poi nello spazio pubblico, spesso suscitando scandalo in Austria, fino alla fuga a Berlino nel 1970, per sfuggire all’arresto. «A quei tempi, solo agli spazzacamini era consentito avere un aspetto diverso dalla gente perbene» diceva Günter Brus ricordando una delle sue performance più famose, la Wiener Spaziergang del 1965. Le Aktionen vivono anche delle reazioni che suscitano e della narrazione che se ne fa. La mostra a Bregenz ne ricorda diverse tra le più potenti attraverso gli schizzi, i disegni e le fotografie che le documentano, insieme ad alcuni filmati realizzati dal regista Kurt Kren.
Un’oscura minaccia e presagio di morte attraversa le opere di questi anni, quasi tutte in bianco e nero. Il corpo dell’artista, reso astratto e spersonalizzato dalla pittura che lo ricopre interamente, è un mezzo: per devastare violentemente la tela, come in Selbsteverstrickung o ridotto a carne da umiliare, buttare a terra e legare, come nella performance Ana eseguita insieme alla moglie (1964) o, ancora, appeso come misera carne da macello in Strangulation (1968). Nella documentazione di altre Aktionen compare, in pericolosa prossimità, un vasto repertorio di strumenti del martirio: forbici, lamette, coltelli, aghi, seghe, asce, pinze. Strumenti che nella celebre Zerreißprobe del 1970, sua ultima azione, l’artista non esiterà a rivolgere contro di sé. infliggendosi ferite con una lama di rasoio e innaffiandole di urina per poi contorcersi sul pavimento, sanguinando.
Il limite è raggiunto e dagli anni settanta l’opera di Brus prende un’altra strada, con le Bild-Dichtungen, lavori su carta che uniscono disegno e testo. Si scopre un Brus colto, appassionato, disegnatore instancabile – si conta che nella sua vita abbia realizzato oltre 30.000 disegni. In questo vasto repertorio, prima di morire, Brus aveva scelto di esporre al Kunsthaus Bregenz le serie ispirate personalità di filosofi e scrittori attivi anche come artisti visivi, come Emil Cioran, Victor Hugo e William Blake. Sono, queste, opere immediate, che spesso nascono in poche ore e vibrano di forza narrativa, fantasia, metafore e guizzi linguistici. Anche negli acquerelli dell’ultimo periodo, realizzati durante la pandemia, nel 2022, si ritrovano diversi omaggi ad altri artisti – Kokoschka, Walter Pichler, Picasso. Questa serie vastissima, che meriterebbe una mostra a sé, è presentata al pubblico per la prima volta, ed ha la freschezza di una rivelazione. L’anelito di morte, che pure non lascia l’artista, prende forma in angeli neri, occhi notturni, mostri, sogni e paure, addomesticate però in scene fiabesche. Il colore entra in scena nell’universo brusiano, che allenta il rigore del bianco e nero. Artista controcorrente, non è forse un caso che, proprio mentre imperversavano i tempi bui della pandemia, Brus abbia creato opere più morbide, capaci di colpire con lampi di sarcasmo e ironia.