«[…] perché i colori su un muro tenero, mostrano in un certo senso qualcosa, che non è più lo stesso quando il muro si è asciugato su», Giorgio Vasari, Le Vite. Gli affreschi contemporanei di Anri Sala si tingono d’antico. Siamo alla Galleria Alfonso Artiaco di Napoli dove è possibile vedere fino al 4 novembre la mostra dell’artista nato a Tirana, nel 1974. Vincitore del Leone d’Oro come miglior artista emergente alla Biennale di Venezia nel 2001, l’artista utilizza solitamente come medium film, fotografie, video e installazioni acustiche. La sua ricerca lo porta ad affrontare temi sociali, culturali e politici radiografandoli sotto una lente personale, poetica ed enigmatica.
Attraversando la mostra nelle ampie sale della galleria napoletana, è possibile specchiarsi nel ciclo, realizzato in loco, di affreschi realizzati “a giornata”, ovvero quando la base dell’intonaco, per essere dipinta, deve essere ancora bagnata. C’è un forte richiamo al tempo in queste opere che risentono, omaggiandoli, del fascino degli affreschi pompeiani, dove l’artista ha di recente svolto un periodo di studi e ricerche, parte del progetto Pompeii Commitment, presentato al museo Madre.
A metà strada tra sculture marmoree e incisioni pittoriche, queste opere sembrano i frammenti di un racconto più grande ma che, una volta asciugato, non si può più modificare. Guardandoli staccati dalle bianche pareti della Galleria Artiaco, vengono in mente la tecniche del distacco a massello sperimentato dagli antichi romani per fare razzia di opere d’arte, tecnica che venne poi recuperata nel Rinascimento per salvare gli affreschi da rischi di distruzione. Sebbene le forme siano contenute entro strutture squadrate, infatti, in molte si nota la tendenza a evadere dai propri confini. Ciò è dovuto alla presenza di frammenti marmorei di Cipollino, Radica e Tartaruga che l’artista, con la consulenza di esperti marmisti, ha innestato sulla tecnica dell’affresco. Il risultato è una fusione alchemica e materica di smalti liquidi e roccia metamorfica, in cui si mischiano pigmenti minerali e pietra.
Il percorso sembra riportare una cronologia geologica, che parte dalla serie Surface to air, in cui l’artista eleva la materia alla leggerezza delle nuvole, come un tramonto che si specchia su onde rosa. Il movimento del mare ancora una volta si fa portatore di una serie di echi primordiali destinati a sciogliersi negli occhi.
La presenza della figura umana non tarda a comparire nella serie Legenda Aurea Inversa, ispirata alla Legenda Aurea che Piero della Francesca realizzò per la Cappella Bacci nella Basilica di San Francesco ad Arezzo. L’effetto è simile a quello delle monete antiche, dove i profili dei Santi raccontati da Jacobus de Voragine subiscono dei vuoti e dei pieni che acquistano corporeità come i riflessi delle lastre fotografiche.
Su cavalletti realizzati su misura invece sono disposti i pezzi che formano le opere Fragmentarium I (Mattina) e Fragmentarium II (Pomeriggio, Pomeriggio Leggermente Dopo/Radica). Si tratta di Frammenti di affreschi, emersi nei “giorni infranti”, come resti archeologici che si sono ormai staccati dalla struttura madre che li inglobava.
A coronare l’atmosfera, riecheggia, nell’ultima sala, il suono dell’aulos, strumento a fiato utilizzato nell’antichità e ricreato da Sala tramite la stampa in 3d, come conduttore del ricordo in sé dei corpi travolti dalla furia del Vesuvio. Un tempo scandito da un terzo suono che unisce passato e presente, nell’attimo di un respiro circolare, che inizia e finisce in una giornata.
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