È un progetto espositivo ad ampio raggio (e di grande impatto) quello che segna il ritorno di Cristiano Carotti a Terni, negli spazi espositivi del Museo CAOS, con la mostra Tra cane e lupo: inaugurata nei giorni scorsi e che rimarrà visitabile fino al 7 gennaio 2024. Un’esposizione che include sculture, installazioni ambientali, video e una grande tela dell’artista, in grado di inglobare l’intero scenario, avvolgendo anche i visitatori, grazie anche all’aiuto delle installazioni sonore di Alessandro Deflorio e Rodrigo D’Erasmo, che offrono un’atmosfera di totale trasporto.
Il punto di partenza della mostra – a cura di Eleonora Aloise – sta proprio nella scelta del titolo, Tra cane e lupo: un’espressione idiomatica mutuata dalla lingua francese – entre chien et loup – che descrive il crepuscolo, momento della giornata in cui il calo di luce rende più difficile la messa a fuoco delle forme e delle loro ombre che sembrano mutare e confondere chi le osserva. In questo senso le figure del cane e del lupo possono essere scambiate, data la similarità del loro aspetto fisico, ma non coincidono nella natura più intima: l’uno è docile e dipendente, l’altro di indole selvatica e primitiva.
Altro riferimento è quello di Oltre il confine, ove il protagonista del libro di Cormac McCarthy compie un viaggio catartico per riportare a casa una lupa, che presto diventerà il suo alter ego. Le cammina accanto, a ogni passo perde l’orientamento ma trova frammenti della propria identità, scrive la curatrice: «Andare e tornare sono concetti fragili, cambia la direzione ma la strada è la stessa. Può essere una statale ferma agli anni ‘60, oppure un’autostrada asettica scelta per non dover pensare». Ed è proprio questo il percorso che Cristiano Carotti compie, tra Terni e Roma, ogni settimana di ogni mese di ogni anno. Una nota biografica che è molto più di una routine, ma l’essenza di una ricerca artistica e personale.
La mostra racconta quindi parte dalla biografia dell’artista che da anni viaggia e lavora tra l’Umbria terra natia e punto di contatto con l’ambiente naturale, e la Capitale: luogo in cui, nel tempo, ha trovato la sua famiglia elettiva composta da artisti, assecondando un senso di condivisione costante e di evoluzione personale. Due microcosmi differenti, ma entrambi determinanti per lo sviluppo umano e artistico.
I simboli principali della mostra sono la strada che rappresenta lo spazio percorso e il collegamento tra i due centri urbani, e l’automobile che, come un metronomo, scandisce il tempo e la durata del viaggio. La strada è popolata da animali, piante e oggetti che diventano simboli importanti per Carotti, veri e propri compagni di viaggio, al punto da portarlo a raccogliere i resti degli animali investiti, i copertoni abbandonati e tutte le tracce significative, perse o dimenticate lungo la via, del passaggio umano e dell’ambiente naturale che vivono quella stessa strada. Successivamente l’artista ne conserva la forma mediante calchi in cemento e le rigenera con fusioni in alluminio, rendendole sculture e restituendo loro un soffio di vita. Gli animali, soprattutto, acquistano un valore sacro come i totem dei nativi americani: guide spirituali e protettrici.
Quell’asfalto diventa così il punto di equilibrio della vita artistica e della ricerca di Carotti, tra le spoglie degli animali investiti che sono i suoi compagni di viaggio. Nel fermarsi a raccogliere quei resti, come reliquie di una migrazione fallita per colpa della disattenzione dell’uomo, nel catalogarli per poi farne dei calchi in cemento per conservare ciò che resta della loro forma originale, lascia impressa delle casseforme la traccia incorporea della vita. Attraverso la fusione in alluminio li cristallizza in archeologia, un memoriale delle cose a cui non prestiamo attenzione. Come nella classicità tenta di preservarne il respiro totemico, il potere ancestrale di cura, coraggio e rivelazione di sé. Sono vessilli da portare in una battaglia tutta interiore, per farsi cane capace di camminare accanto al lupo e poi lupo fedele agli esseri umani, perdere l’orientamento e aspettare la fine della notte.
Si tratta, dunque, di una mostra ampia e varia, dal punto di vista espressivo: dove le musiche, create appositamente per la mostra, giocano un ruolo fondamentale, andando a costituire un tappeto sonoro che inizialmente risulta rassicurante e confortevole per poi virare, in un secondo momento, su suoni metallici e disturbanti, in un’ideale metamorfosi da cane a lupo. E si può certamente ritenere un esperimento riuscito.
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