Willem de Kooning arriva in Italia nel 1959, un momento di grande successo per l’artista che da quando a ventiduenne aveva lasciato Rotterdam per gli Stati Uniti, non era più tornato in Europa. Che cosa aveva fatto in questi anni? Si era guadagnato la fama di artista dalle capacità eccezionali, diventando uno dei pittori più importanti e influenti della sua generazione.
La mostra, visitabile fino al 15 settembre 2024 è il primo progetto espositivo che analizza i due periodi che de Kooning ha trascorso in Italia, nel 1959 e nel 1969, e il profondo impatto che hanno avuto sul suo lavoro, riunendo circa 75 opere.
Tornando al suo rapporto con il nostro paese, tema attorno a cui ruota la mostra, il primo viaggio a Venezia e a Roma durò meno di una settimana, ma de Kooning rimase così affascinato dalla capitale italiana che vi tornò solo qualche settimana dopo. «New York, che mi era sembrata così grandiosa, dopo Roma mi sembrava angusta», disse nel corso di un’intervista in Italia, «nel mio studio sulla Decima Strada continuavo a ripetermi: meglio tornare a Roma». Ed è dieci anni dopo, nell’estate del 1969, che torna in Italia come ospite del Festival dei Due Mondi di Spoleto, passando gran parte del suo tempo a Roma. Quì un incontro casuale con un vecchio amico lo porta a sperimentare per la prima volta una tecnica nuova: la scultura.
I curatori Gary Garrels e Mario Codognato hanno approfondito, come mai era stato fatto, l’influenza italiana sui successivi dipinti, disegni e sculture di de Kooning in America. Una mostra che è la prima grande esposizione del lavoro dell’artista in Italia da quando fu invitato alla Biennale di Venezia 70 anni fa.
«Ricordo tutto mezzo sospeso o proiettato nello spazio; i dipinti sembrano funzionare da qualsiasi angolazione si scelga di guardarli. Tutto il segreto sta nel liberarsi dalla forza di gravità». Un commento quasi profetico dell’esito raggiunto nei suoi dipinti degli anni Ottanta e nelle altre sperimentazioni tentate dopo la sua prima visita in Italia.
Come spiega Mario Codognato, curatore e direttore dell’Anish Kapoor Foundation e della Berggruen Arts and Culture di Venezia, «Restare dentro la storia dell’arte cercando una via d’uscita è la dannazione concettuale e il premio più ambito per l’artista moderno. Willem de Kooning, uno dei più grandi protagonisti dell’arte americana del secolo scorso, incarna perfettamente questa aspirazione».
Ed è proprio questa aspirazione che vediamo nella sala dedicata interamente alla scultura, popolata da tredici piccoli bronzi realizzati da de Kooning a Roma. Le opere sono il risultato dei primi esperimenti dell’artista con la creta che, tra il 1972 e il 1974, una volta tornato a New York, lo porteranno a produrre un nuovo nucleo di sculture. Le opere dialogano con i quadri figurativi dipinti nello stesso periodo, appesi alle pareti, accanto a grandiosi dipinti astratti realizzati successivamente dal 1975 al 1977.
Una mostra che trova la sua forza nel dialogo tra pittura e scultura con i disegni degli anni Sessanta e Settanta: tra le opere di maggior rilievo ci sono quattro disegni a inchiostro realizzati da de Kooning a Spoleto nel 1969, presentati accanto a una selezione complementare di disegni intimi, gestuali, concettualmente correlati con le sculture. Sono infatti i disegni relativi al periodo in cui de Kooning frammenta la figura, lasciando spazi vuoti a fare da contraltare alle sue linee vigorose.
Un grande lavoro di ricerca che è stato possibile grazie alla The Willem de Kooning Foundation, fondazione privata che gestisce il patrimonio dell’artista e promuove lo studio e la valorizzazione della sua vita e della sua opera attraverso ricerche, mostre e programmi educativi. «Questa mostra ci offre la straordinaria opportunità di presentare nuove ricerche e approfondimenti che andranno ad arricchire l’esperienza delle migliaia di visitatori, nazionali e internazionali. De Kooning è uno dei grandi innovatori americani e, come tale, riteniamo che la sua storia di continue sfide sia di vitale ispirazione per molti artisti contemporanei, studenti e giovani».
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