Non è solo un ensemble di oggetti che propongono una lettura in chiave contemporanea del ritratto, Maurizio Pellegrin. Me stesso e io, racconta nelle Sale Dom Pérignon di Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna, la continua ricerca dell’artista della propria identità. Quella ricerca in cui tutti un po’ ci rivediamo.
Curata da Elisabetta Barisoni in collaborazione con Marignana Arte e Galleria Michela Rizzo, la mostra, visitabile fino al 1° aprile 2024, ci mostra uno spaccato degli intricati strati dell’identità dell’artista, inserendosi in un dialogo ideale con la grande mostra Il ritratto veneziano dell’Ottocento (ne abbiamo parlato qui), che popola le sale del secondo piano del museo.
Maurizio Pellegrin, veneziano trapiantato a New York,è un narratore visivo capace di usare “reperti di umanità” per creare particolari ritratti. Sono ritratti che emergono con l’assenza. L’assenza di un soggetto che l’artista rende non necessario, sostituendolo da una serie di oggetti, una sorta di reliquario ripreso dal passato che viene caricato di nuova energia.
La prima sala ci accoglie con una serie di autoritratti, un intreccio di sfumature che oscillano tra introspezione e la rappresentazione della sua città natale, Venezia. Opere emblematiche come 104 Eyes and 1 Black Dotdel 2011 e Drawings dal 1984 al 2002 guidano i visitatori attraverso un viaggio visivo che fonde memoria e costruzione dell’identità individuale.
«Anche i numeri, i simboli e le cifre che accompagnano i suoi autoritratti fanno parte di un alfabeto personale che diventa geroglifico del presente e del futuro, sostanza archeologica delle macerie su cui l’artista ragiona ogni giorno. Alle teste e alle immagini di Venezia si affiancano i lacerti, reperti di un’umanità che ha lasciato sul muro le tracce del proprio passaggio privato, nella serie dei Corsets.» spiega la curatrice Elisabetta Barisoni.
Il percorso termina con una grande opera The Others, ritratti del Settecento e Ottocento,un progetto site-specific realizzato appositamente per interpretare e creare un dialogo con Il Ritratto veneziano dell’Ottocento. Mostra che ricostruisce un’esposizione storica, realizzata nel 1923, un secolo fa, dal primo direttore di Ca’ Pesaro, Nino Barbantini. Un genere pittorico che, come ricorda lo stesso Pellegrin, attraversa la storia dell’arte occidentale fin dall’età greco- romana.
È certo che il ritratto dell’Ottocento parte da premesse molto diverse da quelle che abbiamo noi, la funzione di testimonianza e ricordo legato alla morte è molto più importante della costante ricerca di un’identità che ci affligge oggi.
«Il ritratto nel XIX secolo è piuttosto una celebrazione, un atto di amore che unisce le dinastie familiari, consacra all’eternità gli appartenenti al nucleo di affetti, che siano questi i figli scomparsi prematuramente o gli avi di cui si desidera mantenere viva la memoria.», sottolinea la curatrice.
Pellegrin in questa rappresentazione vede una moltitudine di solitudini, ecco che nella sua opera The Others i dipinti di persone del XVIII e XIX secolo sono accumulati in modo quasi ossessivo e ripetitivo, accompagnandolo nella sua ricerca del Sé. Non si parlano, ma parlano all’artista, gli raccontano la propria storia.
Se la mostra Il ritratto veneziano dell’Ottocento, ispirata all’omonima esposizione del 1923, è una pietra miliare della storia di Ca’ Pesaro; Maurizio Pellegrin ci da una chiave nuova e molto utile per interpretarla. Una lettura contemporanea.
Un interessante passaggio dal ritratto ottocentesco che celebrava e consacrava l’eternità ad un ritratto contemporaneo legato alla realtà. Una documentazione di un qui ed ora in cui tutte le nostre energie sono incanalate nella difficile ricerca di una propria identità.
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