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Fa caldo, troppo caldo. Ma c’è qualcosa di straordinario a Bergamo per il quale vale la pena di prevedere una giornata di vacanza, un apposito viaggio, una tappa del nostro nomadismo estivo: sono le mostre e dei progetti in corso alla GAMeC Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea (nella sua sede istituzionale, in Palazzo della Ragione e infine nell’etere-web). Nella città, ad accoglierci, ci sono spazi ampi e freschi per condizionamento e per vetustà dove possiamo trovare e provare emozioni: occasione a misura umana ma capace di riconciliare anche chi ha fatto il globe trotter tra Venezia, Berlino, Kassel e Pristina.
Nella sede della GAMeC l’inaspettata mostra di Christian Frosi (Milano, 1973) a cura di Nicola Ricciardi: a dieci anni dal suo ritiro dalla scena, la prima esposizione museale dedicata a uno dei più ricercati artisti italiani dei primi anni Duemila. Al piano superiore “La Collezione Impermanente, azione #3.0” a cura di Sara Fumagalli, Valentina Gervasoni e Fabrizia Previtali, opportunità – anche partecipativa – per costruire collegamenti tra storia recente e passata in uno schema di rotazione intelligente e innovativa. In Palazzo della Ragione (Piazza Vecchia, cuore medievale di Bergamo Alta) l’emozionante mostra di Anri Sala, “Transfigured”, a cura di Lorenzo Giusti e Sara Fumagalli. Installazione straordinaria che ci avvolge in un nucleo di energia e di stupore che a volte l’arte – accanto alla bellezza, al ragionamento, alla perizia e alla strategia – ci regala.
“La stanza vuota”, titolo della mostra di Christian Frosi (GAMeC, sino al 25 settembre), significa, per la generazione della scrivente, aprire il flusso di una memoria recente e vederne fluire ricordi e suggestioni di un ristretto gruppo di artisti italiani che oggi consideriamo consolidati. Ma significa soprattutto ripensare alla persona che ha sempre espresso forza e malinconia, visionarietà e silenzio; all’artista che mai contraddiceva il suo interlocutore e raccontava le sue scadenze quando erano già troppo ravvicinate per essere assolte. Christian Frosi che nel salutarti ti lasciava in prestito riflessioni fluttuanti, imprendibili e imprevedibili, fosse che si parlasse di arte, di viaggi (come quello con l’amico e collega Diego Perrone) o di birre condivise. Lo stesso artista che, in un avvincente avvio di carriera (siamo appunto nel 2012) interrompe tutte le relazioni e smette di essere un artista scegliendo di non produrre, di non partecipare e quindi di sottrarsi alla storia dell’arte, alle sue circostanze e ai suoi attori.
“La stanza vuota” è dunque una mostra che ripropone il suo lavoro a distanza di 10 anni presentando, per la prima volta insieme, oltre 30 opere realizzate dalla conclusione degli studi a Brera (1999) sino a circa il 2012. Una manciata di anni intensi che coincide con numerose mostre personali sia in Italia che all’estero e con la partecipazione ad alcune delle collettive che hanno appunto definito gli artisti italiani della sua generazione: dalla prima Triennale di Torino, a cura di Francesco Bonami e Carolyn Christov-Bakargiev (2005), a Sindrome Italiana, la jeune création artistique italienne al Magasin – Centre National d’Art contemporain di Grenoble (2010), fino a Fuoriclasse, la mostra alla Galleria d’Arte Moderna di Milano curata da Luca Cerizza e dedicata agli allievi di Alberto Garutti.
Visitare questa mostra e vederne oggi le opere ha una doppia forza e bellezza: evidenziare una ricerca autonoma e ben distinguibile, rappresentare, con una precisione leggera, la ricerca e l’atteggiamento di una generazione. Con un’inventiva e una pratica di inaspettata perfezione, i lavori di Frosi ruotano infatti senza gravità intorno ai concetti di precarietà e fuggevolezza e ogni opera appare nella possibilità di invertire il suo stato, di precipitare o cambiare la sua direzione. Ne deriva un percorso che, da opere iconiche a opere meno note, ci sollecita a ri-considerare l’instabilità della forma e, ancor più, la variabilità della ricerca di un senso compiuto a fronte di una compiutezza che è desiderio prima che realtà. Un corpus straordinario serrato e allineato sul bordo del vuoto.
Interessante è certamente che il curatore di questa prima mostra – Nicola Ricciardi, classe 1985 – non sia un coetaneo di Frosi ma appartenga invece a una generazione più giovane che esprime l’obiettivo «di proteggerne e conservarne il lavoro, … nella volontà di leggere la sua invisibilità alla luce di un presente artistico e sociale in cui si è chiamati a esserci sempre». Interessante infine che la direzione della GAMeC abbia scelto questa inedita proposta curatoriale che permette di indagare la figura dell’artista ponendone in luce fragilità e forza, cambiamenti e fatiche. Temi distanti dagli indici di carriera, glamour e successo delle riviste patinate che nutrono l’arte contemporanea tra banalità e pregiudizi.
Al secondo piano della GAMeC (sino all’8 gennaio 2023) si trova invece “La Collezione Impermanente, azione #3.0″cioè il terzo progetto del ciclo espositivo nato nel 2018 per valorizzare in modo innovativo e coinvolgente la Collezione del museo. Una piattaforma di ricerca che valorizza la natura ibrida della collezione del museo proponendosi di farne uno strumento di attivazione di memorie e coinvolgimento del pubblico attraverso l’uso di format espositivi innovativi per opere del patrimonio del museo dagli anni Novanta a oggi. Anche qui il tema dell’impermanenza – di osservazione, di notorietà, di senso e forma) sembra congiungere i piani dell’edificio: nuove prospettive verso il futuro – nello sguardo come nella pratica – a cui si sommano anche interventi di giovani artisti chiamati a dialogare con le opere del museo (Ruth Beraha, Iva Lulashi, Nicola Martini, Federico Tosi). Nello specifico l’azione #3.0 prosegue, sviluppando con empatici sistemi aperti a tutte le età, l’indagine sul ruolo del visitatore e la sua relazione con il museo chiedendo loro di esprimere preferenze in riferimento alle opere esposte che comporranno il riallestimento finale della Collezione. Le opere in mostra sono quelle di Giorgio Andreotta Calò, Cory Arcangel, Carlo Benvenuto, Ruth Beraha, Filippo Berta, Mariella Bettineschi, Stefano Boccalini, Pol Bury, Maurizio Cattelan, Bruno Ceccobelli, Isabelle Cornaro, Mario Cresci, Berlinde De Bruyckere, Latifa Echakhch, Ettore Favini, Gianfranco Ferroni, Roland Fischer, Anna Franceschini, Giuseppe Gabellone, Gelitin, Rochelle Goldberg, Renaud Jerez, Roberto Kusterle, Sol LeWitt, Lorenza Longhi, Iva Lulashi, Kris Martin, Nicola Martini, Eva e Franco Mattes, Ryan McGinley, Nunzio, Ken Okiishi, Ornaghi&Prestinari, Aitor Ortiz, Yan Pei-Ming, Cesare Pietroiusti, Pablo Reinoso, Antonio Rovaldi, Namsal Siedlecki, Ettore Spalletti, Priscilla Tea, Jol Thoms, Josh Tonsfeldt, Remco Torenbosch, Federico Tosi, Sislej Xhafa, Chen Zhen.
Dal 10 giugno – 16 ottobre 2022 in Palazzo della Ragione la grande installazione di audio-visiva, Time No Longer di Anri Sala che, nella sua progettazione place specific acquisisce il titolo di Transfigured. Grazie alla grande capacità dell’artista, l’immensa sala delle Capriate dell’antico palazzo si trasforma da contenitore in accogliente moltiplicatore di sensi e storie in una dimensione di connessione tra passato e presente.
Proiettato su uno schermo flottante lungo 16 metri, Time No Longer si concentra sull’immagine di un giradischi galleggiante in una stazione spaziale. Ancorato al solo cavo elettrico di alimentazione, il giradischi riproduce un nuovo arrangiamento di Quartet for the End of Time (e nello specifico il movimento solista The Abyss of the Birds per clarinetto), composizione realizzata dal musicista francese Olivier Messiaen nel campo di prigionia tedesco durante la seconda guerra mondiale. Opera interpretata per la prima volta nel 1941 – insieme a tre musicisti anch’essi reclusi – davanti a un pubblico di soli detenuti e guardie. Nell’installazione di Anri Sala, al clarinetto risponde la storia del sassofono di Ronald McNair. uno dei primi astronauti neri ad aver raggiunto lo spazio. Sassofonista professionista, Ronald McNair nel 1986 aveva pianificato di suonare e registrare un assolo a bordo dello Space Shuttle Challenger che si è disintegrato pochi secondi dopo il decollo.
Entrambi prigionieri in condizioni diverse, grazie alla collaborazione del musicista André Vida e del sound designer Olivier Goinard, Anri Sala crea per la sua installazione un duetto fra due voci strumentali dove il clarinetto si confonde con il sassofono, unendo due momenti distanti ma accomunati da un senso profondo di determinazione e solitudine. Nella sala anche bagliori di luce provenienti da lampade posizionate sul retro dello schermo che, seguendo il ritmo della musica, illuminano la sala e, insieme a essa, i dipinti e gli affreschi disposti sulle pareti. Nuovi personaggi sono messi così in dialogo con storie e condizioni di tempi diversi. Transfigured ci restituisce così un giradischi alla deriva nello spazio, albe e tramonti che si ripetono illuminando un intreccio di storie e di pratiche – come quelle di McNair e Messiaen o quelle degli affreschi nella sala – componendo una sorta di sonata solenne e a-temporale che mette in scena la solitudine come possibilità e condizione.
Ultimo progetto in onda in GAMeC, via etere-web, a disposizione di tutti, è infine quello di Radio GAMeC 30, il progetto che racconta gli ultimi trent’anni di storia attraverso una selezione di eventi significativi letti e interpretati dalla voce di artiste e artisti internazionali. Il progetto del cuore di Lorenzo Giusti, Direttore GAMeC al suo secondo mandato. Arrivato alla sua decima puntata in questa estate 2022, Radio GAMeC ci offre il nuovo podcast dell’artista Bontaro Dokuyama in dialogo con la curatrice Ilaria Gianni sul Disastro nucleare di Fukushima. Ascoltalo qui accanto ai precedenti.