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Una risposta politica al passato coloniale. 5 artisti in mostra a Milano
Mostre
La necessità di ricordare, riportare a galla e sollecitare la memoria è il filo rosso che collega le ricerche di Jermay Michael Gabriel, Délio Jasse, Muna Mussie, Jim C. Nedd e Georges Senga, i protagonisti di Stratificazioni, in mostra da ArtNoble Gallery a Milano, con un testo critico di Janine Gaëlle Dieudji. Il titolo allude a un parallelismo tra gli strati geologici e l’urgenza di far emergere quelle che vengono definite come le «storie e i tessuti sociali collegati a vuoti e assenze nella memoria storica». Queste narrazioni, seppur in modo diverso dalle conformazioni rocciose accumulatesi nel corso dei millenni, sono rimaste anch’esse a lungo nascoste in un sottosuolo dell’oblio e della negazione.
La memoria collettiva emerge nelle fotografie di Georges Senga, che aveva presenziato negli spazi di ArtNoble in occasione della mostra Trois auteurs d’Histoire nel 2021. I sei scatti, dal titolo Format (2018), raccontano la storia del periodo coloniale dello Stato del Katanga, oggi Repubblica Democratica del Congo, riferendosi in particolare ad alcune infrastrutture, come teatri e cinema, edificate dalla maggiore industria mineraria del paese e destinate agli impiegati. Il punto di vista di Senga mostra come siano cambiati, a distanza di decenni, questi edifici culturali. In quelle che si potrebbero definire “cartoline di vita”, gli interni delle sale teatrali e cinematografiche sono vuoti e sospesi nel tempo, abbandonati a loro stessi. Il contrasto si viene a creare con le scene vive e cromaticamente dense degli altri scatti, che mostrano le copertine dei film, appese attorno a due giovani che fissano l’obiettivo, e star internazionali, come Cristiano Ronaldo e un wrestler, dipinte sul muro di un edificio su cui campeggia la scritta “Cinema”.
L’indagine dell’artista e curatore italo-etio-eritreo Jermay Michael Gabriel, che si è occupato della selezione dei partecipanti all’esposizione, è fortemente legata alla ricerca sui simboli dell’archivio coloniale italiano. Il filo conduttore delle quattro opere presenti in sala è l’idea di recuperare le icone degli anni Trenta del XX secolo, con l’obiettivo di ribaltare e scardinare le concezioni obsolete a favore di una cura per quello che viene descritto da Gabriel come «trauma coloniale». Il lavoro Berhè Golon በርሀ ጎሎ, (2020) mostra il primo fantino di origini eritree ad avere l’accesso al Palio di Siena nel 1927, seduto in sella al cavallo e circondato da una folla di italiani. Lo scatto, ripetuto tre volte su una cornice in legno installata a parete, subisce un’esemplificazione fino a scomparire sotto il segno del fuoco, che corrode e purifica l’estremità destra senza lasciare scampo all’ultima stampa. Il nero combusto contrasta fortemente con la foglia d’oro, impiegata dall’artista per cancellare e celare i dettagli non ritenuti rilevanti.
La fotografia è anche il mezzo con cui Jim C. Nedd si esprime. Gli scatti, presentati in cornici di alluminio, non mostrano in modo esplicito la figura umana ma ne accennano il passaggio attraverso le ombre sui muri, nell’opera Transformación en La Séptima (2022), una pagina di giornale abbandonata per strada, in Periódico de Ayer (2022), e il riflesso di una palma in una pozzanghera, nella quale si intravedono i fili della corrente, Untitled (2021). In queste immagini urbane, un alone di mistero è restituito dall’alto contrasto della luce che contribuisce a celare le fattezze reali di luoghi e figure, lasciando aperta l’interpretazione.
Il racconto di Muna Mussie, artista e performer bolognese di origine eritrea, esplora le pratiche del linguaggio e del ricamo per creare una narrazione collettiva. Nell’opera intitolata Punteggiatura (2018), coinvolge oltre cinquanta voci di donne, provenienti da diversi Paesi del mondo, ognuna delle quali è invitata a individuare una storia, una poesia, una citazione o una rappresentazione a loro cara. Ciascuno di questi prelievi personali è stato cucito dalle numerose mani all’interno di un libro realizzato interamente in stoffa. Le pagine, impreziosite da fili di diverso colore, sono espressione di lingue, pensieri e voci che seppur in modo silenzioso, raccontano una storia.
D’archivio parlano anche gli interventi serigrafici su tela dell’angolano Délio Jasse, la cui ricerca degli scatti è stata condotta su Ebay e si discosta dalle raccolte ufficiali di Stato. Questa indagine indipendente, incentrata sugli anni Trenta del Novecento, porta all’emersione di storie sconosciute, interpretabili attraverso le singole fantasie e le composizioni create dall’artista sul supporto in cotone. I protagonisti delle foto non hanno un nome, non sono famosi e in apparenza non sono ritratti nell’atto di compiere delle imprese eroiche. Ma questi volti sconosciuti raccontano delle storie attraverso le loro azioni: migranti appena sbarcati, un gruppo di soldati in camicia nera, un ritratto di donna. Tutte queste narrazioni sono ricomposte da Jasse come se fossero dei nuovi documenti d’identità, senza i quali le persone non sarebbero riconosciute come tali. In questa ufficialità, che supera la carne e il singolo individuo, l’artista crea nuovi racconti e, come un impiegato dell’anagrafe, appone il timbro sulla tela Visitate l’Italia.